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Pechino sceglie di convivere col virus: 250 milioni di contagi

Pechino sceglie di convivere col virus: 250 milioni di contagiAnziani cinesi vaccinati contro il Covid a Nantong, nella Cina dell’est – Ap

Cina L’allentamento delle restrizioni dopo le proteste della popolazione fa impennare i casi. E il conteggio dei dati resta un mistero. Bassa copertura vaccinale degli anziani e un sistema sanitario poco preparato: il governo centrale punta all’immunità di gregge per far ripartire l’economia in difficoltà

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 27 dicembre 2022

Da quasi tre anni, dai tempi del primo focolaio scoppiato a Wuhan, la Cina ha tenuto chiuso i propri confini, limitando – se non addirittura azzerando – gli ingressi degli stranieri nella seconda economia del mondo.

Il governo centrale ora non può più rimanere indifferente davanti all’evidente crisi economica e frustrazione sociale scaturite dalla rigida politica Zero Covid.

A partire dal prossimo 8 gennaio, la Cina abolirà le restrizioni per chi arriva nel paese: niente più burocrazia né quarantena obbligatoria, ma sarà sufficiente un test negativo al Covid effettuato 48 ore prima dell’ingresso nel paese.

Uno dei provvedimenti più significativi adottati dal governo centrale e che rafforza la decisione, presa a inizio dicembre, di allentare in maniera non graduale la politica Zero Covid, che fino a poche settimane fa aveva previsto rigidi lockdown, quarantena in Covid center e test di massa anche con pochissimi contagi.

IL GOVERNO CENTRALE ha giustificato l’immediato allentamento con una diversa percezione del pericolo legata al virus: la variante Omicron – la più diffusa nel paese – è stata descritta come meno letale rispetto agli altri ceppi.

La narrativa della «guerra al virus», difesa strenuamente dal presidente cinese sin dal 2020, ha lasciato il passo a provvedimenti che per Xi Jinping devono essere «in grado di proteggere efficacemente la vita della popolazione».

L’appello lanciato dal leader cinese ieri irrompe in un clima di tensione sociale e caos sanitario: con la nuova ondata di Covid, ci sarebbero stati circa 250 milioni di contagiati nei primi 20 giorni di dicembre, secondo una serie di documenti non ufficiali attribuiti alla Commissione sanitaria nazionale. E potrebbe peggiorare nei prossimi mesi.

Dopo il picco di contagi che si registrerà a fine gennaio, in concomitanza con l’enorme flusso migratorio interno previsto per il Capodanno lunare, in Cina si prevedono altre due ondate entro aprile.

LA STRATEGIA del governo cinese è chiara, ma anche cinica: in un paese dove vi è una bassa copertura vaccinale della persone anziane e un sistema sanitario poco preparato a far fronte all’aumento di ospedalizzazioni (la Cina ha meno di cinque letti in terapia intensiva ogni 100mila abitanti), Pechino punta a far circolare il virus più rapidamente per ottenere l’immunità di gregge e far ripartire l’economia in difficoltà.

Ma l’abbandono della politica Zero Covid sta causando non pochi problemi. Nella gran parte dei centri urbani, gli ospedali sono in affanno e medici e operatori sanitari sono costretti a lavorare anche se positivi al virus.

LE AUTORITÀ SANITARIE hanno invitato la popolazione a non recarsi nelle strutture ospedaliere se non per casi di estrema necessità.

A queste improvvide decisioni si aggiunge scarsa chiarezza sui dati. Pechino ha cambiato i criteri per il conteggio dei decessi legati al Covid, registrando solo le morti direttamente riconducibili a polmonite e insufficienza respiratoria causate dal virus: non saranno registrati i casi di pazienti che, per esempio, hanno avuto un infarto dopo essere stati infettati.

I dati ufficiali, che già prima erano poco chiari, ora non saranno più comunicati.

DALLO SCORSO 25 dicembre la Commissione sanitaria nazionale ha smesso di pubblicare il bollettino giornaliero: senza alcuna spiegazione, il timone passa al Centro cinese per il controllo delle malattie che pubblicherà i dati solo per scopo di ricerca.

Dalla politica di azzeramento dei casi si passa così alla convivenza con il virus. Un cambiamento reso più evidente con le proteste scoppiate lo scorso novembre, quando la popolazione è scesa in strada nelle principali città cinesi per manifestare contro le misure anti virus e accusare le autorità per la morte di dieci persone in un incendio scoppiato in uno stabile a Urumqi, capitale dello Xinjiang: il lockdown avrebbe infatti ritardato i soccorsi e impedito alle vittime di mettersi in salvo.

È STATA LA RABBIA della popolazione a spingere il governo ad allentare la presa? Le contestazioni lo hanno certamente spinto a prendere una decisione già valutata da tempo: secondo il Financial Times, esperti di sanità pubblica di Hong Kong si sono recati a Pechino a inizio novembre per consigliare i funzionari cinesi sulla revoca delle restrizioni a livello nazionale, settimane prima che scoppiassero proteste.

La Cina, che già prima dell’allentamento aveva registrato un aumento dei contagi, ha voluto tutelare l’economia nazionale, a discapito della rottura del patto di fiducia con il popolo.

E probabilmente nessuno ammetterà né pagherà i danni sociali ed economici della politica Zero Covid. Nemmeno Xi.

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