Da buona prima partner commerciale degli Stati uniti, la Cina non poteva certo rimanere immobile di fronte ai dazi decisi da Trump contro molte merci cinesi.

COSÌ, NELLA MATTINATA DI IERI, Pechino ha fatto sapere di avere già deciso una prima contro-mossa, andando a colpire 128 prodotti statunitensi con diversi tipi di sanzioni.
Si tratta di una prima risposta: forse Pechino aspetterà di tornare a discutere con Trump – di cui ha sofferto una decisione «unilaterale» – prima di optare per altre decisioni; la Cina infatti ha parecchie frecce al suo arco, a cominciare dal debito americano, per proseguire con la possibilità di rendere molto difficile il mercato cinese ad aziende statunitensi (pensiamo alla Apple).

NEL PRIMO MAZZO di prodotti americani sanzionati sono finiti per lo più merci derivanti dall’agricoltura. In un colpo solo la Cina fornisce una sberla di circa tre miliardi di dollari agli Usa e va a provocare le corde di quel mondo agricolo che ha contribuito non poco – insieme alle zone più industriali a rischio dismissione – all’elezioni alla presidenza di Donald Trump.

QUELL’AMERICA rimasta colpita dalla globalizzazione, così desiderosa di eleggere un presidente protezionista, sperimenterà questa guerra commerciale avviata dal «loro» presidente.
Anzi, viene colpito proprio un settore che, solo un anno fa, era stato esaltato da Trump come motore di una nuova relazione con la Cina, ovvero la produzione americana di carne. Cina e Usa avevano infatti stretto un accordo, proprio per diminuire il disavanzo commerciale Usa, per esportare in Cina la carne. E

ORA PECHINO ha imposto di tasse al 25% su otto prodotti, tra cui proprio l’importazione di carne di maiale. Ugualmente ha fatto sull’ alluminio riciclato. Colpiti con diversa sanzione, al 15%, altri cento prodotti tra cui frutta, il vino e i tubi di acciaio. Insomma siamo solo all’inizio delle danze, perché è ipotizzabile che a breve Pechio potrà irrigidire i controlli sdi sicurezza alimentare e sanitari su altri prodotti e procedere poi a sanzionarne altri.

Si è parlato dei Boeing, che da tempo la Cina pare voler sostituire e altre merci. In generale la Cina sembra voler rispondere colpo su colpo nonostante i tentativi di apertura provati fino a pochi minuti precedenti alla decisione di Donald Trump.

NON SOLO DAZI, però, perché le parole utilizzate ieri dal presidente americano a proposito del disavanzo commerciale con la Cina non hanno convinto tutti. Citando i dati forniti da economisti cinesi, il ministro del Commercio cinese, Zhong Shan ha sostenuto che il disavanzo commerciale annuo degli Stati uniti nei confronti della Cina sarebbe inferiore del 20 per cento a quanto affermato da Washington.

Lo scorso anno gli Usa hanno riportato un deficit commerciale di 375 miliardi nei confronti della Cina: una riduzione del 20 per cento farebbe comunque di quello con la Cina il deficit commerciale più vasto dell’economia Usa. Il ministro del Commercio cinese ha poi specificato che parte dello squilibrio commerciale agli ostacoli imposti da Washington alle esportazioni di prodotti tecnologici come supercomputer e materiali avanzati verso la Cina. Il governo Usa, invece, afferma da sempre, nell’era Trump, che quelle esportazioni ridurrebbero lo squilibrio commerciale di pochi punti commerciali, al costo però di possibili minacce alla sicurezza nazionale statunitense. Scatenato sul tema il quotidiano ultra nazionalista cinese, Global Times. Anche sulle sanzioni la sua posizione è irriducibile: «Washington dovrebbe abbandonare l’idea che la Cina si ritirerà in questa guerra commerciale, perché non troverà bandiere bianche a marcare la resa della Cina».