La Cina cresce, radica il proprio potere economico e commerciale, lo esporta sotto forma di soft power in Occidente, o almeno ci prova, ma attira numerosi malumori in casa propria, in Asia. Quanto siano cambiati gli equilibri asiatici l’ha dimostrato la questione nord coreana, momentaneamente finita fuori dai riflettori mondiali, a fronte della chiusura dei rubinetti della retorica guerrafondaia di Kim Jong un, il giovane leader della Corea del Nord. Nell’ambito della crisi nella penisola coreana, la posizione cinese – oscillante tra il mantenere il rapporto con l’antico alleato o “mollarlo” per dare seguito al processo di avvicinamento economico alla Corea del Sud – aveva manifestato l’esistenza di un nuovo assetto, lontano dalla guerra fredda e proiettato su esigenze economiche nate dalla progressiva crescita dell’importanza mondiale del paese della Grande Muraglia. Oggi sul fronte nord coreano sono partiti gli incontri trasversali che porteranno, presumibilmente, ai colloqui a sei (Cina, Russia, Giappone, Corea del Nord, Corea del Sud e Stati Uniti), come chiesto da Pechino e come confermato dall’incontro con Kerry, avvenuto proprio nella capitale cinese alcune settimane fa.

La Cina però ha confermato recentemente il peso dato alla sua difesa (le cui spese sono aumentate quest’anno dell’11,2 percento per una cifra totale di 80 miliardi di euro circa). A detta dei funzionari di Pechino questi aumenti sarebbero proporzionati al rango di grande potenza, ma hanno finito per provocare, di conseguenza, una crescita delle preoccupazioni – e del riarmo – dell’intera area asiatica. E insieme a questi elementi, la Cina ha visto aumentare le diatribe e i problemi con i propri vicini.

Innanzitutto con il Giappone: è notizia del week end l’ufficializzazione dello stop ai previsti colloqui tra Cina, Giappone e Corea del Sud. La decisione è stata presa da Pechino dopo che la questione delle isole contese con Tokyo, le Diaoyu in cinese, le Senkaku per i giapponesi, è tornata d’attualità nell’ultima settimana a causa di nuovi fronteggiamenti tra le navi dei due paesi. La generale tensione però, nonostante le proteste anti giapponesi, in Cina non ha portato a disastri per gli scambi commerciali. Gli investimenti dal Giappone in Cina, nel mese di marzo, sono cresciuti del 43,2 percento arrivando a 1,02 miliardi di dollari. Il Dragone rimane dunque la prima destinazione per gli investimenti giapponesi nel corso dei prossimi cinque anni, secondo un sondaggio condotto dall’Organizzazione del commercio estero del Giappone.

A insidiare la Cina è l’India, il cui volume di affari con Tokyo sta crescendo. Proprio l’India è stato l’ultimo paese ad arrivare ad uno scontro diplomatico con la Cina per un’altra questione territoriale. La scorsa settimana infatti secondo i funzionari indiani, truppe cinesi sarebbero entrate di ben 10 chilometri all’interno del territorio indiano e messo le tende nella valle di Depsang nella regione del Ladakh del Kashmir. Errore (clamoroso) o provocazione? La Cina ha negato che tutto quanto sia mai successo, mentre gli analisti internazionali cercano di leggere cosa possa significare un gesto del genere. Con tutti i fronti aperti in Asia, la Cina non ha certamente l’esigenza di inimicarsi anche l’India, paese per altro inserito all’interno di quel gruppo di stati, definiti Brics, sui quali Pechino sembra voler puntare nel prossimo futuro.

Infine c’è il mar cinese del Sud, attraverso il quale passa un terzo del commercio mondiale marittimo. La Cina ha ufficializzato dei viaggi turistici proprio all’interno di quel gruppo di isole contese con Vietnam, Taiwan e Filippine. E proprio con le Filippine c’è stato l’ultimo scontro diplomatico con Pechino ad accusare Manila di voler tentare di occupare illegalmente alcune delle isole.

I prossimi mesi saranno fondamentali per capire come Pechino pensa di risolvere tutti questi nodi, dando per scontato che al di là dei proclami, nessun paese dell’area vuole un conflitto armato. C’è sempre però il rischio esistente di un incidente, capace di esacerbare ogni singola diatriba. Per Pechino si tratterà di una sfida che – secondo gli esperti internazionali – significherà dimostrare una maturità da grande potenza, quale la Cina aspira ormai ad essere.