Nelle ultime settimane la Cina ha affrontato la «crisi coreana» in due modi: da un lato ha provveduto a boicottare in ogni modo Seul, bloccando i visti in entrata e fermando i propri cittadini in uscita verso la Corea del Sud. Analogamente i supermercati cinesi hanno ritirato la merce coreana dagli scaffali: la Cina è il principale mercato per l’export di Seul (senza contare il successo in terra cinese delle K-star coreane).

Con Pyongyang, oltre alla freddezza dei rapporti diplomatici, ha deciso di agire bloccando le importazioni di carbone: un’azione che durerà, a quanto detto, fino alla fine dell’anno e che non aiuterà la già complicata situazione economica del regno del giovane Kim. Poi, a seguito del lancio di quattro missili da parte della Corea del nord e il dispiegamento del sistema anti missile Thaad da parte di Usa e Corea del sud, Pechino ha prima reagito in maniera furiosa, salvo poi proporsi come «mediatore».

La «doppia sospensione» proposta da Pechino è la seguente: Pyongyang sospende i lanci dei missili, Corea del Sud e Usa sospendono le esercitazioni militari congiunte. Si tratta di una mediazione chiaramente irrealizzabile; c’è da capire, dunque, perché Pechino abbia deciso di agire in questo modo. Per la Cina il dispositivo Thaad è un affronto da parte degli Usa: se passasse senza una reazione significherebbe garantire agibilità agli Usa proprio nel «giardino di casa». Alcune giornali nazionalisti cinesi, hanno proposto come risposta, un aumento delle capacità nucleari di Pechino.

La Cina – dunque – potrebbe avere proposto la «doppia sospensione» per sollecitare una reazione di Washington e «testare» la strategia di Trump. Tanto più che il 18 marzo il segretario di Stato Rex Tillerson sarà a Pechino in una visita che si preannuncia carica di importanza. La posizione cinese riguardo la crisi coreana, poi, segna un’altra svolta di cui si parlarà in futuro: Pechino sembra avere messo in soffitta la teoria della «nuova relazione tra grandi potenze» con cui Xi Jinping aveva deciso di inaugurare il suo nuovo corso diplomatico con gli Usa.

La svolta protezionista americana e la certezza da parte di Pechino di dover contrastare prima o poi una guerra commerciale con Washington, ha portato la dirigenza comunista a spingere sull’accelleratore sulla proposizione di global governance a guida cinese.

Un concetto geopolitico paternalista, basato sulla teoria del «mantenimento della stabilità», che da fattore determinante interno, ora viene traslato sullo scenario internazionale.