L’incontro tra Putin ed Erdogan delle scorse settimane ha smosso parecchie acque. Blindare Assad – in sostanza – ha portato anche la Cina a ragionare in modo meno equivoco sui destini della Siria.

Pechino in generale è più preoccupata da quanto accade in Africa (dove zone di proprio interesse sono messe a rischio dall’Isis) e ha sempre controllato a distanza le vicende siriane, appoggiando la Russia – di fatto – ma lasciando a Mosca l’onere di gestirsi le operazioni militari. Da qualche giorno la Cina ha nominato l’ex ambasciatore in Iran come inviato speciale in Siria e ha planato un proprio contrammiraglio a Damasco.

Risultato: ieri la Cina ha ufficializzato un piano di aiuti e di training del proprio esercito alle forze di Assad. Qualcosa di più di un semplice appoggio internazionale, che arriva proprio nel giorno dell’utilizzo delle basi iraniane da parte di Mosca. Si compatta dunque il fronte, mentre Pechino tiene fede alla propria anima (anche) taoista, secondo la quale l’importante è farsi trovare pronto a ogni mutamento. Pechino coglie anche un altro obiettivo, in questo modo: contrastare la questione più spinosa, per la dirigenza Pcc, ovvero i fighters uighuri che operano in Siria.