Oltre 500 vittime complessive, sei nel week end appena trascorso: il Myanmar non ha pace e soprattutto la giunta militare sembra non incontrare particolari problemi nella sua gestione del «post golpe».

Ieri sulla situazione nel paese è tornato a intervenire il ministro degli esteri cinese Wang Yi. Secondo Pechino, infatti, i paesi dell’Asean devono tenere presente il rischio di «influenze esterne» nella gestione diplomatica del dossier birmano. Wang Yi nelle settimane scorse ha incontrati i suoi omologhi di Singapore, Malaysia, Indonesia e Filippine nel Fujian, in Cina. Wang ha detto che dovrebbero essere compiuti sforzi per fermare l’escalation delle tensioni in Myanmar.

«Siamo consapevoli che dobbiamo essere attenti ad alcune forze esterne che si infiltrano in Myanmar con secondi fini, provocando problemi e intensificando le divisioni, il che rende la situazione più complicata», ha detto Wang ai media di stato cinesi dopo gli incontri. «Speriamo tutti che la comunità internazionale manterrà un atteggiamento obiettivo ed equo e creerà un ambiente esterno favorevole per la riconciliazione politica interna del Myanmar, invece di imporre arbitrariamente sanzioni e pressioni».

Consueto refrain cinese, mentre la diplomazia asiatica procede a passi forzati. L’arrivo di Biden e la sua intensa azione per riportare vicino a Washington alleati asiatici che Trump aveva allontanato, ha creato un effetto domino. Nei giorni scorsi c’è stato l’incontro tra Seul e Pechino, mentre crescono le tensioni nel mar cinese meridionale tra Filippine e Cina.

Ieri Wang Yi ha avuto una conversazione telefonica con Tokyo (pronta a un incontro molto rilevante con la Germania, un altro player dell’area che risponde a Washington) dai toni non proprio cordiali.