Lo stato maggiore governista c’è tutto, in gran pompa e al completo. Alfano, i ministri, Gianni Letta, Renato Schifani. Solo alla fine arriva anche uno che di governista non ha niente, Sandro Bondi. Tutti a palazzo Grazioli, preoccupatissimi, per fare il punto col gran capo che è tornato a fare fuoco e fiamme. Il capitolo numero uno è la legge di stabilità. Mezzo partito è sul piede di guerra. Nel giro di 24 ore i commenti sono passati dal gelido all’incandescente. Capezzone, che a botta calda si era limitato a storcere il naso, afferma oggi che «il giudizio deve essere aggravato di ora in ora». Motiva il pollice verso con lo spettro di una tassa sulla casa peggiore dell’Imu nonché con quello di un aumento generalizzato delle accise.

«Io – assicura il portavoce – mi batterò fino all’ultimo in commissione e in aula per modificare eventuali aggravi fiscali. Ma se alla fine ci sono tasse, la manovra non la voto». Minzolini, un altro che non la manda a dire, va giù piatto: «La esaminerò bene, e se non mi convince non la voto». Avrebbe «difficoltà a votare» la legge di stabilità anche Bondi, mentre la Gelmini darà di certo il suo assenso. Certo, «se non ci saranno nuove tasse sulla casa».

Il comandante non si unisce ai tamburi di guerra. Con il pattuglione delle colombe fa il conciliante. Promette il semaforo verde, anche se certo «bisognerà intervenire per cambiare la manovra». Il clima è tanto rilassato che finisce nel menù anche il rimpasto, che in realtà dovrebbe aumentare di una preziosa unità la delegazione del Pdl al governo. Alfano, che al momento si divide fra ben tre incarichi, lascerebbe il Viminale per tenersi stretta solo la vicepresidenza del consiglio. Al suo posto potrebbe subentrare proprio Schifani, mentre gli altri ministri resterebbero al loro posto. Coadiuvati però da una nuova infornata di sottosegretari pdl.

Certo, resta ancora in sospeso un problemino, quello della «non convalida» dell’elezione del padrone di casa. Qui l’unica è prendere tempo. Inutile stracciarsi le vesti già ora, presidente, tanto in aula il caso prima degli inizi di dicembre non ci arriva, e per allora sai quante cose potrebbero cambiare.

Calma piatta, allora? Ma no. La solita melma a cui il partito di Silvio ha ormai abituato tutti. Silvio o non Silvio, sulla legge di stabilità i falchi attaccheranno. Lo faranno perché la campagna anti-tasse è la loro sola bandiera, ma lo faranno anche perché cercano il corpo a corpo con i nemici che coabitano nello stesso partito. Lo faranno perché la legge di stabilità altro non è che la sessione prossima ventura del congresso strisciante che nel Pdl si svolge senza esclusione di colpi già da mesi.

Non è neppure vero che nell’altra squadra, fra le colombe, tutto sia sotto controllo. Tra quelli che pochissime settimane fa già si sentivano con un piede e mezzo fuori, non manca chi l’appeasement lo ingoia solo con immensa difficoltà e lo digerisce anche peggio. Come il vicepresidente dei senatori Giuseppe Esposito che mediterebbe un colpo di scena già nei prossimi giorni.

Ma Alfano a tirare di nuovo la corda non ci sta. Prima o poi le elezioni arriveranno, e come si fa a scendere in campo senza un euro che è uno contro i miliardi di Berlusconi? Come si fa a competere quando i sondaggi registrano intenzioni di voto che danno 24 a 3 (per cento) a favore della squadra rapace, purché ci sia in campo il Maradona di Arcore? Molto più saggio puntare i piedi, restare al coperto della villa padronale, giocare di sponda e di convinzione per sedare le ire del capo e convincerlo a evitare colpi di testa.

Di fatto, Alfano e Schifani si muovono ora come una forza specifica in sé, tale da pesare come area autonoma di potere (nel partito e fuori) al di là degli schieramenti ornitologici. Il primo colpo lo hanno già messo a segno. Vincenzo Morgante, indicato come nuovo direttore del Tgr, è un «protetto» di entrambi. La sua nomina pare fatta apposta per cementare un matrimonio politico comme il faut.

Peccato che tutte queste, persino lo scontro sulla legge di stabilità, siano solo schermaglie e disfide congressuali. Il prossimo momento della verità, nel Pdl, arriverà solo dopo il voto sulla decadenza. E stavolta il motto «più tardi è, meglio è» vale proprio per tutti.