Alla fine alla convocazione «informale» di Renzi al Nazareno – «Scuola, dalle 14 alle 15; Rai, dalle 15 alle 16; Ambiente, dalle 16 alle 17; Fisco, dalle 17 alle 18», diceva la lettera di invito – sono arrivati parecchi parlamentari, anche delle ’sinistre’, dimostrazione plastica che la minoranza Pd, malgrado le insorgenze di questi ultimi giorni, continua a essere divisa in base ai metri di distanza da Renzi. Alla fine i renziani parlano di una riunione di «200 parlamentari», i non renziani ne contano la metà.

Presente Roberto Speranza, il capogruppo alla camera che pure aveva contestato la scelta del governo di non ascoltare i pareri delle camere sui decreti del jobs act. Il suo posto sarebbe in bilico, secondo le voci del ’giglio magico’ confermate ieri dal vicecapogruppo Ettore Rosato: «Una verifica delle presidenze delle commissioni parlamentari è prevista ogni due anni ma non è un tema politico». L’avvicendamento riguarderebbe altri nomi ’pesanti’ dell’opposizione interna: come quello di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della camera (presente ieri alla riunione), e di Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del senato. Ma in realtà la prassi della conferma delle cariche cade a mezzo mandato, quindi in autunno. E, al di là delle minacce circolate in queste ore, è difficile che Renzi chieda di anticiparla: sarebbe una smaccata ritorsione verso i dissenzienti.

Ieri Renzi ha confermato la tabella di marcia serrata dei prossimi giorni: martedì il consiglio dei ministri approverà un ddl e un dl sulla scuola; sulla Rai entro due settimane sarà approvato dal governo il disegno di legge, quindi non un decreto. Il capitolo fisco invece è di nuovo rinviato. Ma sul core business delle critiche della minoranza, ieri Renzi ha messo in chiaro che non cederà di un millimetro: i testi della riforma istituzionale e della legge elettorale non si cambiano nei prossimi passaggi parlamentari. Presto la minoranza dovrà decidere che fare: se farsene una ragione o no.

Per questo il clima teso non si attenua. Bersani, le cui parole ieri stesso campeggiavano sul quotidiano Avvenire, una dura reprimenda verso Renzi («Così non va, non siamo figuranti»), dopo un botta e risposta con il vicesegretario Guerini, alla fine ha mandato le sue proposte alla riunione del Nazareno: «Quattro idee. Non in burocratese, molto brevi. Praticamente ho partecipato, no?», ha spiegato al Gr1. Ma all’ex segretario è toccato l’imbarazzante bacio della morte di Renato Brunetta. Che nel Mattinale, personale houseorgan del capogruppo azzurro, ha lodato con entusiasmo la minaccia della minoranza Pd di non votare l’Italicum: «Ci pare che i sorci verdi comincino a circolare piuttosto grintosi dalle parti di Renzi. Forza Italia! E per una volta anche Forza Bersani!». Finisce in un boomerang per l’ex segretario.

Anche Gianni Cuperlo non partecipa alla ’leopoldata’ del Nazareno, ma scrive al presidente del consiglio quali sono le tre modifiche che le minoranze chiedono sull’Italicum. Sono state discusse sabato scorso all’assemblea di Sinistradem (la corrente cuperliana), saranno formalizzate in un’assemblea di tutte le minoranze Pd a marzo. Ma i punti sono già chiari da tempo, per questo Cuperlo può avanzarli già a nome di tutti: «Ridurre il numero dei parlamentari nominati a non più del trenta per cento; prevedere la possibilità di apparentamento tra liste diverse in caso di ballottaggio per l’assegnazione del premio di maggioranza; prevedere una vera clausola di collegamento tra legge elettorale e legge costituzionale». Tre questioni sostanziali che potrebbero allontanare l’Italicum dalla somiglianza con il Porcellum, far rientrare dalla finestra le coalizioni cacciate dalla porta, e infine scongiurare definitivamente le elezioni anticipate (posto che è largamente improbabile che si svolgano prima della fine dell’iter delle riforme, con il Consultellum e facendo tornare al voto entrambe le camere). Ma il premier ha già fatto sapere la risposta. Ed è un niet. E se Forza Italia stavolta dovesse far mancare il suo appoggio, la posizione delle minoranze Pd si farebbe scomoda persino alla camera, dove la maggioranza ha numeri solidissimi.

Ma l’ora della verità non arriverà subito. La legge elettorale è parcheggiata nella commissione di Montecitorio, e lì resterà almeno per tutto il mese di marzo. Ma c’è chi pensa anche oltre. Il 10 maggio ci saranno le elezioni regionali. Se ne potrebbe persino riparlare dopo. E per allora sarà tutto da vedere se la minoranza Pd, come giura oggi Bersani, sarà ancora disposta a non votare il provvedimento in caso di mancate modifiche.