I risultati delle elezioni parlano chiaro: la “narrazione” renziana è in crisi, ma le forze a sinistra del Pd non appaiono una alternativa credibile.

I sintomi di crisi del renzismo sono nel brusco calo dei votanti in realtà tanto diverse come Emilia e Calabria. Il fenomeno indica non solo l’incrinarsi del potere di attrazione del premier, ma anche consistenti segnali di ribellione dell’elettorato di sinistra verso il Pd. Inoltre, per la prima volta i grillini non intercettano il malcontento.

Sembrerebbe una situazione eccellente per chi voglia proporre una alternativa di sinistra. Invece così non è. L’Altra Emilia-Romagna ha raccolto il 4% e Sel, nell’ambito del centro-sinistra, il 3,23%. In Calabria “La Sinistra” (Sel, Pdci, Idv), pur in una coalizione screditata, il 4,36%, e L’Altra Calabria (Prc e Alba, altre componenti della ex Lista Tsipras erano per il non voto) si ferma all’1,32%.

Tutto questo ci dice due cose. In primo luogo, non vi è oggi spazio a sinistra del Pd per più di una proposta politica. In secondo luogo, se le forze a sinistra del Pd si unissero in un Fronte articolato e plurale, lasciando da parte in nome del bene comune le reciproche avversioni, con una leadership collettiva e riconoscibile, questo soggetto politico-elettorale avrebbe di fronte a sé potenzialità rilevanti.

Esso potrebbe puntare a conquistare militanti e voti tra i lavoratori sindacalizzati e tra i giovani disoccupati, tra i vecchi iscritti al Pci e tra coloro che sono cresciuti nei movimenti antisistema: insomma, tra i delusi degli ultimi vent’anni di storia politica e sociale del nostro paese.

Parlo di un Fronte della Sinistra (o Fronte del Popolo, o come lo si voglia chiamare) perché l’obiettivo di un unico partito non è realistico. Anzi, i cantieri oggi aperti (Lista Tsipras, Human Factor, nuovo partito comunista) avranno un ruolo positivo solo se non credono di essere autosufficienti, se dialogano fra loro, guardando con rispetto alle forze politiche esistenti, che restano decisive, come al grande mare dei non organizzati o di coloro che lo sono in associazioni e gruppi non partitici.

Bisogna finirla con i veti incrociati e coi risentimenti.

Questo Fronte della Sinistra dovrebbe partire dalle lotte sindacali, dei precari, dei disoccupati: senza radici nel mondo del lavoro non si è sinistra. Ma anche presentare un progetto di rinnovamento e di crescita rivolto a tutta la società. E una elaborazione che prospetti un tipo nuovo di convivenza, alternativa a quella attuale. Credo sia importante avere un duplice programma: uno di misure immediate, per fronteggiare l’emergenza; e un Programma fondamentale, per dire verso quale società si vuole andare.

Da subito poche proposte e chiare: per il lavoro, il Mezzogiorno, i giovani, la scuola e la cultura, la casa, il welfare. Si deve essere in grado di dire dove si troveranno le risorse, colpendo quali interessi: è necessario avere dei nemici. Perché questo nuovo soggetto deve essere di parte, anche se non minoritario. Dovrebbe pronunciarsi, ad esempio, sul ruolo del pubblico, proponendo una economia mista secondo quanto previsto dalla stessa Costituzione. Dovrebbe avviare una Riforma antiliberista.

E, soprattutto, questo Fronte della Sinistra non deve pensare che il suo compito si esaurisca dopo una prima prova elettorale, comunque vada. È un lavoro di lunga lena quello che ci attende, nella società prima che nelle istituzioni. Deve fondarsi sulla promessa reciproca di stare insieme per un lungo tratto di strada, senza cedere a tatticismi e interessi di corto respiro. Non si fa “grande politica” né con una nuova proposta ogni sei mesi né facendo la stampella alla gamba sinistra del Pd. Si metta in cantiere un progetto unitario e partecipato, di alternativa reale. Si lanci una vera sfida egemonica in nome delle classi subalterne, del mondo del lavoro e di chi non ha lavoro, della democrazia e della Costituzione. Oggi si può, la situazione lo richiede.