La decisione della commissione bilancio della camera di non ritenere ammissibile l’emendamento taglia vitalizi nella legge di bilancio era scontata e dunque non suscettibile di polemiche, come ammette anche il polemista numero due, Matteo Richetti. «Ho provato, pur sapendo che il rischio inammissibilità era alto perché già formulato al senato, a inserire la legge nella manovra di Bilancio», scrive su facebook il portavoce nazionale del Pd. Risponde al polemista numero uno, il Cincinnato del Movimento 5 Stelle Alessandro di Battista, che invece pretendeva il taglio ai vitalizi nella legge di bilancio: «Per l’ennesima volta, hanno affossato il taglio dei vitalizi. Io mi auguro che le ipocrisie e le prese per il culo sistematiche vengano punite alle prossime elezioni». Richetti, che è l’autore della legge approvata in prima lettura alla camera e ferma al senato perché i senatori Pd sono in maggioranza contrari, ha però ha uno scatto. E scarica la responsabilità sulla presidenza del senato. Cioè su Pietro Grasso, neoleader di Liberi e Uguali.

La vicenda dei vitalizi va seguita con un po’ di pazienza. Anche perché i vitalizi dal 2012 non esistono più, camera e senato applicano alle loro pensioni le stesso sistema di calcolo contributivo esteso a tutti i lavoratori dalla riforma Fornero. È rimasto qualche privilegio minore, tipo la possibilità di andare in pensione dopo due legislature a 60 anni invece di 70, l’abolizione del quale non avrebbe effetti importanti sulle casse pubbliche (e non avrebbe effetto alcuno su quelle dell’Inps visto che le pensioni dei parlamentari sono gestite in maniera autonoma dalle camere). A luglio di quest’anno con la spinta di Renzi e i voti grillini la camera ha approvato la proposta di legge Richetti che equipara in tutto le regole sulle pensioni dei parlamentari a quella dei cittadini, sposta la gestione dal parlamento all’Inps (in un fondo separato) e soprattutto interviene sugli ultimi «vitalizi» rimasti, quelli dei duemila e passa ex parlamentari. Ai quali decide di applicare, tutto a un tratto, le regole del 2011: ogni assegno andrebbe ricalcolato con il metodo interamente contributivo. In pratica una riduzione di circa il 40% che nessuno si è mai sognato di proporre per i comuni lavoratori. Almeno fin’ora. Anche perché, come ha fatto notare l’ufficio studi del senato, «la rideterminazione dei trattamenti pensionistici già liquidati» è stata ammessa dalla Corte costituzionale (che presidia i diritti acquisiti) solo per l’applicazione di contributi straordinari di solidarietà «a carico dei trattamenti eccedenti certi importi». Che è proprio quello che ha deciso a marzo l’ufficio di presidenza della camera, imponendo agli ex un taglio triennale.

La legge Richetti si è fermata al senato perché nel gruppo Pd prevalgono i contrari. Il capogruppo Zanda non ne ha mai chiesto la calendarizzazione. Lo stesso Richetti a settembre aveva ritenuto giusto che a palazzo Madama la sua legge non seguisse una procedura di urgenza. Alla diffusa consapevolezza che si tratta di una legge incostituzionale – lo hanno sostenuto diversi giuristi ascoltati in commissione – ha dato voce anche ieri il senatore Pd Sposetti, individuato come il difensore numero uno dei vitalizi. «Che la mettano in calendario, vediamo se ha i numeri per passare – ha detto al Fatto – il gruppo ristretto del Pd sta giocando con le istituzioni nella convinzione che la Consulta boccerà la legge».
Richetti invece ha attaccato «l’inerzia» del senato e polemizzato con Grasso: «Ora la responsabilità ce l’ha chi guida i lavori al senato». Diverse repliche da LeU: «Ipocrisia, lo sanno tutti che il Pd è spaccato». Ormai anche per questa legge, come per tante altre come lo ius soli o le regole sulla candidature dei magistrati, non c’è più tempo.