La mozione della maggioranza di governo sul conflitto in Siria approvata ieri dalla Camera dei Deputati contiene diverse ombre, qualche luce e più di un elemento di ambiguità. Sicuramente positiva è l’esclusione di ogni intervento armato (se non autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) e apprezzabile l’intenzione di promuovere tutte le iniziative volte ad ottenere la tregua ed un «cessate il fuoco».
Nondimeno ambigua è invece l’assenza di ogni riferimento nella mozione del governo (come invece chiedevano Sel e il Movimento 5 Stelle nella loro mozione) al divieto di utilizzo delle basi militari italiane per un eventuale intervento militare in Siria. In questo modo l’Italia – mettendo a disposizioni le sue basi- concorrerebbe indirettamente ad un’azione bellica che pure il governo dice formalmente di voler escludere. Ambiguo – e minaccioso – è anche il passaggio della mozione della maggioranza volto a sostenere l’impegno a «neutralizzare l’arsenale chimico siriano con l’obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato». Obiettivo ovviamente e assolutamente condivisibile, ma posto con una formulazione che sembra non escludere anche nessun mezzo, anche quelli di natura militare. Per questo il M5S ha votatao contro insieme a due deputati Giulio Marcon e Giorgio Airaudo di Sel che, invece, come gruppo ha preferito astenersi sulla mozione del governo
Pur nella consapevolezza che il governo italiano ha scelto per il momento un impegno che esclude un intervento diretto, bisogna infatti sapere che questo non evita coinvolgimenti di altra natura, ma non meno pericolosi. E’ anche per questo che nella mozione di Sel si chiedeva il divieto «dell’uso delle basi militari presenti sul territorio nazionale», escludendo «altre forme di supporto logistico o il diritto di sorvolo degli aerei d’attacco». L’inserimento di questo dispositivo avrebbe tolto ogni ambiguità alla mozione della maggioranza di governo, ma questo non è successo.
Più passano i giorni, più ci si rende conto che l’intervento militare in Siria sarebbe un tragico errore e un crimine: non fermerebbe i combattimenti, metterebbe a rischio ancora di più la possibilità della pace tra israeliani e palestinesi e, in Libano, porrebbe le nostre truppe in Libano in una condizione di pericolo. Morirebbero tantissimi civili, donne e bambini, con una escalation imprevedibile. Il ricorso alla guerra – come ha ricordato il papa – serve sempre e solo ai trafficanti d’armi e al business del complesso militare-industriale. Riflessione necessaria nei giorni in cui il Parlamento sta ratificando il trattato internazionale sul traffico di armi convenzionali.
Come ha ricordato l’on. Tabacci nel suo intervento in aula («no ad un nuovo Iraq, è la finanza americana a volere la guerra») la vicenda siriana solleva inquietanti interrogativi sul significato della connessione tra un eventuale intervento militare in Siria e la crisi finanziaria globale. È quello che con più di una preoccupazione ci è arrivato dalle ultime esternazioni di Obama, proprio in un giorno – l’11 settembre- che dovrebbe interrogarci sulla follia della scelta della «guerra permanente» lanciata dopo l’attacco alle Torri gemelle.
Altra sarebbe la strada da seguire: la tregua ed il «cessate il fuoco», la ripresa del negoziato dando via a «Ginevra 2», cioè i colloqui tra Damasco e le forze dell’opposizione. La soluzione diplomatica, che chiama in causa l’Onu, è l’unica possibile.