Democratici, ma senza esagerare. Post-comunisti, molti persino mai stati comunisti, ma con con un atavico irresistibile richiamo della foresta per regolare i conti interni. Archiviato per ora lo spettro della scissione – uno spettro per lo più di conio giornalistico – ora nel Pd se ne aggira un altro, quello dell’espulsione. I dissensi sul governo delle larghe intese nella base si moltiplicano.

E non si tratta ’solo’ del fenomento ’OccupyPd’. Per avere un’idea del malumore dei militanti, ieri bastava fare due chiacchiere con i giovani democratici romani che sfilavano al corteo del 25 aprile. E che spiegavano come un sol ragazzo che «mai più la Gelmini all’università».
Parallelamente, mentre impazza il peggior totoministri della storia repubblicana (Alfano, Schifani, appunto Gelmini) fra i parlamentari Pd piovono i no: i prodiani Sandro Gozi e Sandra Zampa, il civatiano Pippo Civati, Laura Puppato. Per ora la sinistra interna (Orfini, Orlando) aspetta di vedere la compagine di governo, ma il no al governissimo è nell’aria. Invece l’ex presidente dell’assemblea Rosy Bindi ha già definito «un gravissimo errore politico» il tentativo di governo Pd-Pdl di Letta.

In realtà, fin qui tutti i dissenzienti stanno ben attenti a dire che voteranno no in aula. La cosa infatti in teoria confliggerebbe con la Carta degli intenti della coalizione Italia bene comune, che al punto «responsabilità» prevede di «vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta». Ma solo in teoria: in pratica la Carta è diventata straccia, visto che il programma sottoscritto da Pd, Sel e socialisti è andato a farsi benedire. Tant’è che alla prima accusa di «tradimento» verso di Sel, già passata all’opposizione (sebbene «responsabile e non populista»), Nichi Vendola ha avvertito: «Le larghe intese sono il contrario di quanto era scritto in quel documento».

Ma nel Pd frantumato il tentativo della ricompattazione forzata è in corso. E i grandi-coalizionisti, in sella dopo il ribaltone interno seguito alle dimissioni di Bersani, ora minacciano espulsioni per chi non si adeguerà alla decisione – già assicurata a Napolitano – di sostenere il governo con l’ex avversario. Per primo le ha evocate Dario Franceschini, («chi voterà contro la decisione assunta dalla maggioranza del partito sarà messo fuori»). Ora è diventato una specie di tormentone. «Il voto di fiducia non è un voto di coscienza, ma determina l’appartenenza al partito», avverte sulla Stampa l’ex mite Roberto Speranza, capogruppo alla camera. Il lettiano Francesco Boccia attacca Puppato e Civati: «Nessuna minaccia ma ci sono regole che vanno rispettate. Chi non dovesse votare la fiducia sarebbe fuori». Replica Civati: «Questi sono toni fuori di testa più che fuori dal partito». Sandra Zampa: «Leggo con preoccupazione gli ultimatum minacciosi di dirigenti del Pd. Suggerisco di essere più prudenti e rispettosi del travaglio cui ogni democratico è sottoposto».

Il fatto è che la minaccia è spuntata, almeno dal punto di vista disciplinare. Al momento i gruppi Pd non hanno eletto i propri direttivi, gli organismi che propongono e fanno applicare le sanzioni in base ai regolamenti interni. In pratica per ora il Pd non potrebbe espellere, per lo meno dai gruppi, i suoi eventuali dissidenti.

Ma è un rebus destinato a complicarsi nelle prossime ore, sei i dirigenti grande-coalizionisti non abbassano i toni. Con il rischio di trasformare il Pd nel vituperato Movimento in balia della tirannia di Grillo. «Cancellerei dal nostro vocabolario la parola espulsione e imposterei in discorso in un’altra maniera», spiega Francesco Sanna, avvocato, deputato, ex senatore. «Il voto di fiducia al governo non si configura come un voto di coscienza, secondo i nostri regolamenti. E forse potremo distinguere fra chi non vota sì, ma poi comunque sostiene il governo. E chi vota no, maturando una scelta di opposizione ad esso». Posizione ragionevole, ma isolata: «La fiducia è un gesto solenne» per il capogruppo al senato Zanda.