Se nella maggioranza gialloverde va in onda il film delle liti sanguinose che però non finiscono con una rottura, nell’opposizione va in scena una storia simile, anche se in scala: il Pd litiga e minaccia scissioni – lo fa Renzi -, ma non è una cosa seria . All’ultima riunione di direzione, lo scorso venerdì, il segretario Zingaretti aveva smentito ogni sospetto di intelligenza con i 5 stelle e aveva pregato tutti di evitare la polemica continua, spiegando la posizione paradossale in cui si trova il Pd: «I 5 stelle si stanno sfasciando ma attenti che, mentre discutiamo che si sfasciano, gli facciamo il regalo che ci stiamo sfasciando noi discutendo di loro».

Ma il tema del dialogo con grillini, per quanto immaginario (gli insulti fra Di Maio e Zingaretti sono quotidiani e reciproci) è di quelli destinati a scavare, come goccia la pietra. Ieri Renzi ha ripetuto la sua quotidiana minaccia di scissione dalle colonne del giornale La Sicilia. Alla domanda ’resterebbe in un Pd che fa gli accordi con i 5 stelle’, ha risposto: «Mai. Può dirlo forte, scrivetelo in grassetto». Il senatore di Scandicci ha portato come esempio del lavorìo verso l’accordo Pd-M5S il caso dei dem siciliani: la commissione di garanzia ha annullato il voto del congresso regionale e destituito il segretario Faraone. «È stato fatto fuori perché argine all’inciucio con i Cinquestelle», spiega Renzi, «Spero che chi di dovere affronti il tema, altrimenti sarà una lenta emorragia. Poi, se vogliono tenersi la ditta, ce ne faremo una ragione».

Faraone è il regista della Leopolda siciliana, laboratorio per riformisti e moderati, prelibatezza locale del vecchio Patto del Nazareno. È molto antipatizzante con i 5 stelle ma anche un po’ spiccio con le questioni interne. Per la presidente dei garanti Silvia Velo, tra le violazioni del congresso in cui era rimasto unico candidato – la sfidante aveva lasciato per impraticabilità del campo – ci sono «la decisione di non far votare gli iscritti» e «la violazione delle regole congressuali per la presentazione delle liste dei candidati», insomma, si è proceduto alla proclamazione del segretario «senza voto degli iscritti e senza primarie». Ora ci penserà la magistratura ordinaria, a cui si è rivolto l’ex segretario regionale Raciti. Intanto a commissariare la Sicilia è andato un franceschiniano, Alberto Losacco, di certo un «dialogante» con i 5 stelle. E il tema terrà banco tutta l’estate.

E non solo in Sicilia. Ieri sul Fatto l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio ha scritto: «La crisi va portata in parlamento, lì si verificheranno le posizioni di ogni forza politica. A quel punto potrà mettersi in moto una sorta di disgelo tra 5Stelle e campo progressista». I renziani non hanno commentato, ma le posizioni in campo ormai sono chiare: Smeriglio è l’ala sinistra, ma i renziani accusano lo stesso Zingaretti di non aver voluto mettere in difficoltà i 5 stelle sul caso Metropol, ritardando la presentazione della mozione di sfiducia contro Salvini. Ieri alla riunione dei capigruppo della camera, Lega e 5 stelle hanno votato perché la mozione venga votata a settembre, a babbo morto. Zingaretti si è imbufalito: «Ma non era Di Maio ad aver detto ’se il Parlamento chiama si va?’ E non è il presidente Fico ad aver chiesto a Salvini di andare in aula senza aver ottenuto risposta dal ministro? Parolai, schiavi e buffoni». I renziani sorridono dell’esito disastroso della vicenda, «un’occasione persa», chiude Maria Elena Boschi.