Non hanno capito e non si sono adeguati: in Toscana nessun consigliere regionale del Pd lascia il partito, per seguire Matteo Renzi nella nuova avventura politica di Italia Viva. Il dato dell’assemblea regionale, eletta nella primavera del 2015 e «colonizzata» quando il renzismo era al suo apice, parla da sé. Anche la quasi totalità dei senatori e dei deputati Pd eletti in Toscana non seguirà l’ex segretario, gli unici partenti sono Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi. Perfino Luca Lotti ha preferito non seguire Renzi («il perché lo scoprirete più tardi», dice sibillino), al pari del capogruppo dei senatori dem Andrea Marcucci. «Mi fa arrabbiare e stare male leggere di questa rottura», sintetizza l’umore generale un altro ex renziano di ferro come il senatore Dario Parrini. Secondo in malessere al solo Eugenio Giani, fino a ieri teso alla conquista della Regione con l’avallo di Renzi.

Anche i sindaci dem, a partire da Dario Nardella, non abbracciano la scissione, né si registrano defezioni nei consigli comunali più importanti, da Firenze a Prato. Nei giorni scorsi Nardella aveva apertamente sconsigliato rotture, ora si limita a confermare la sua fedeltà al partito: «Come ho già detto varie volte, io continuerò a lavorare nel Pd e a fare le mie battaglie nel Pd. Per quanto riguarda la scelta di Matteo capisco le sue ragioni, rispetto la sua decisione, e confido nel fatto che collaboreremo bene, troveremo le giuste forme di collaborazione per il futuro. Non drammatizzo il quadro politico che avremo davanti a noi dopo questa decisione».

Anche il figliol prodigo Enrico Rossi, a sua volta reduce da una scissione (quella di Leu) per poi rientrare nel Pd, è diplomatico: «Voglio prendere l’aspetto migliore: l’idea di voler occupare una posizione di centro, di stampo liberale e in questo modo combattere anche su un terreno diverso la destra. Mi pare che questo spazio possa esserci». Poi però Rossi puntualizza: «Naturalmente bisogna che sia molto chiaro che il rispetto deve essere reciproco. Bisogna anche che le parole forti siano messe da parte, non servono, approfondiscono le rotture in un momento in cui c’è bisogno di unità, anche di unità nella pluralità».

Ben meno diplomatico il portavoce della minoranza dem, l’orlandiano Valerio Fabiani: «La scissione, ingenerosa e insensata, di Matteo Renzi si commenta da sola. Mi limito a condividere ciò che ha detto il segretario Nicola Zingaretti: noi dobbiamo pensare ai cittadini e alle loro esigenze». Messaggio diretto anche all’attuale segretaria toscana del Pd, l’europarlamentare Simona Bonafè, storicamente vicinissima a Matteo Renzi, che da Strasburgo taglia corto: «Per me è una sofferenza, anche personale. Ma per ora non voglio dire di più». Nemmeno Bonafé Nicola Danti, altro renziano doc, intendono comunque lasciare il Pd, almeno per ora.

Sul territorio, dove il Pd è forte e radicato, non si lesinano critiche all’ex segretario: «Una scissione è una scissione. Punto. E i cocci, come ogni volta, tocca rimetterli insieme a noi – commenta tranchant Jacopo Mazzantini, segretario della federazione Pd Empolese Valdelsa, autentica roccaforte renziana – e il Pd non è una porta girevole di albergo dove si entra solo se si siede ai posti di comando. Comunque il punto, alla fine, non è tanto Renzi, i renziani, la conta di chi lo segue o chi rimane. Renzi ha fatto la sua scelta, che non condivido né capisco, ma la questione vera è cosa vuole essere il Pd adesso. Ora abbiamo tutta la responsabilità di riaccendere lo spirito del 2007, che era l’opposto del frazionismo».