L’incontro tra le reciproche convenienze di Matteo Renzi e Dario Franceschini che sta dietro la decisione di far saltare l’assemblea nazionale del Pd, originariamente prevista per il 21 aprile, spaventa le due minoranze organizzate della sinistra interna al partito. Andrea Orlando e Gianni Cuperlo uniscono le forze in un comunicato congiunto: «Nessuno può pensare di salvare il Pd con un accordo tra correnti», scrivono i leader delle due correnti escluse dall’accordo. Mentre Maurizio Martina che ha appena accettato di rinviare il suo appuntamento con la candidatura a segretario spiega che non è successo niente. «Confermo la mia candidatura», dichiara il reggente. E assicura che il rinvio dell’assemblea nazionale, dove avrebbe dovuto compiere il passo, «è ragionevole data la situazione generale e comunque l’assemblea si farà presto».

Orlando e Cuperlo, con Emiliano, sono gli unici ad aver criticato la decisione di spostare ancora l’assemblea, mentre per statuto andrebbe convocata entro trenta giorni dalle dimissioni del segretario nazionale – arrivate dopo la sconfitta alle elezioni del 4 marzo. A pretendere il rinvio è stato Renzi, che non vuole un nuovo segretario in carica con i pieni poteri prima del prossimo congresso, vorrebbe tenerlo tra fine anno e inizio 2019. Presto, ma non subito perché i renziani non hanno ancora un candidato da contrapporre all’arrembante Zingaretti. Il rinvio dell’assemblea serve a tenere ancora un po’ a mollo Martina, che si è spinto troppo avanti rispetto alla sua «base» elettorale in assemblea, appunto costituita da renziani.

Il rinvio però è piaciuto anche a Franceschini, che lavora per riportare il Pd al centro delle trattative per la nascita del nuovo governo. Anche perché lo slittamento dell’assemblea è stato motivato con l’evoluzione della situazione politica e le difficoltà di Salvini e Di Maio di trovare un accordo. Un modo per ammettere che se qualcosa si muove il Pd non può restare immobile sulla linea renziana della non partecipazione. Anche se Renzi è indisponibile a qualsiasi patto con i 5 Stelle e vuole tenersi pronto solo nell’eventualità in cui Mattarella riesca a costruire un governo con dentro tutti o quasi.

Per Orlando e Cuperlo «una cosa è peggio della sconfitta: rimuoverla in attesa che la tempesta si plachi o che gli altri falliscano». E dunque «la convocazione dell’assemblea dev’essere comunque rapida in coerenza a uno statuto che già ora non è stato rispettato». L’avvertimento è rivolto anche a Martina che per la sinistra interna non può contare su un’apertura di credito illimitata. Soprattutto se continuerà a muoversi lungo il percorso tracciato da Renzi.

Orlando e Cuperlo avvisano così di aver convocato comunque assemblee territoriali per il fine settimana che non vedrà più l’assise nazionale: «Coinvolgiamo amministratori, sindaci, associazioni, sindacati e i segretari e i militanti d quei circoli che in questo mese si sono spesso riempiti per discussioni vere e appassionate». Nelle quali, immaginano, la linea «aventiniana» di Renzi per favorire il governo Lega-M5S non è così popolare. Lo sostiene ad esempio Boccia, della corrente di Emiliano: «È necessario avviare un dialogo istituzionale a partire dal M5S», insiste. Mentre il presidente del partito Orfini non ammette tentennamenti: «A dividerci dal M5S è innanzitutto una diversa idea della democrazia». Orfini non trascura di replicare a D’Alema, che nell’editoriale di Italianieuropei anticipato dal manifesto avvertiva che grillini e leghisti «non sono la stessa cosa». E invece sì, dice Orfini, «sono l’opposto della sinistra».