«Dobbiamo trovare equilibri più avanzati», scherza – ma neanche troppo – un bersaniano doc, riesumando la formula socialista precraxiana, oggi potremmo dire «riformista», che puntava ad avvicinare la sinistra al governo. E il tema di «avvicinare la sinistra al governo», quello del Pd s’intende, e cioè alla gestione del partito per come uscirà dai turbolenti 50 giorni delle riforme e poi dalle elezioni europee, è il core business della giornata democratica di oggi. Renzi ha rovesciato il suo «torrente impetuoso» delle riforme sull’opposizione interna. Che ora deve trovare il modo di scrollarsi la definizione di «palude» che il segretario-premier e tutti i suoi tatuano addosso a chiunque, fuori ma soprattutto dentro il Pd, abbia da eccepire al treno delle riforme, anche solo nel merito. Un rebus irrisolvibile per la sinistra Pd, che ormai si è fatta letteralmente in quattro rivoli. Consapevole che Renzi gode del favore dei sondaggi, e che la corsa delle riforme, a prescindere da cosa siano davvero, è il traino formidabile delle prossime europee e insieme la scommessa capitale per tutto il partito, renziano e non.

Non è un caso che proprio «area riformista del Pd» (copyright Epifani) si definisce quella degli autoconvocati che stasera alle 20 si vedono alla camera, aula Berlinguer, per «chiudere il congresso», tradotto rottamare la guida di Gianni Cuperlo dell’area dell’opposizione, e tentare di mescolare le carte. Primo motore i bersaniani (fra cui Stumpo e il ministro Martina), presenti i dalemiani (Manciulli, Amendola) e un po’ dei lettiani, Paola Di Micheli in testa (una parte a loro volta ha fondato l’associazione ’Comunità democratica, giusto la scorsa settimana), assente il giovane Marco Meloni.

In contemporanea al Nazareno, alla sede del partito, riuniscono – come quasi ogni settimana – i parlamentari ’turchi’, che così si tirano fuori definitivamente dall’ex area Cuperlo e viaggiano verso una serie di appuntamenti autonomi. Questa sera si prepareranno al cruciale incontro di domani, di nuovo alla camera, fra i deputati democratici e il ministro del lavoro Giuliano Poletti. Appuntamento oscurato dallo scontro sulla riforma del senato, ma che rischia di impattare prima, in ordine di tempo, sul corpaccione parlamentare Pd.
I turchi chiedono di «riscrivere» il decreto, frenando la possibilità di reitero dei contratti a tempo e inserendo il contratto unico a tutele progressive. Argomenti largamente condivisi nell’opposizione del Pd. Come sono largamente condivise le obiezioni alla riforma del senato, anche nella sua ultima formulazione presentata ieri da Renzi. Ma il ’merito’ dell’opposizione a Renzi non basta e non serve a riunire i drappelli sparsi dell’esercito in rotta dell’ex mozione Cuperlo.

E così oggi i «riformisti» si vedranno per rifondare l’opposizione interna, per allargarla – dividendosi – per farne «un’area aperta, inclusiva e non esclusiva», «alternativa alla maggioranza renziana, ma non antirenziana, non pregiudizialmente ostile». «collaborativa ma autonoma». L’ex segretario Epifani, fra gli ispiratori dell’appuntamento, guarda a Roberto Speranza come guida dell’area. Nonostante le non poche controindicazioni: il giovane ex coordinatore politico della campagna per le primarie di Bersani è presidente dei deputati, una carica istituzionale che sconsiglia di farne il capofila di una corrente. Vanta però un buon rapporto con Renzi ed è passato da un antirenzismo di sostanza al possibilismo, persino sugli F35.
Con i «riformisti» ci sarà anche Stefano Fassina che però «partecipa con un approccio unitario» e invita tutti «a non fare forzature», «a non cercare scorciatoie oganizzativistiche. Oggi la nostra difficoltà è tutta politica». E per sfuggire alla bollatura renziana di «palude» oppone «l’unica cosa utile, un ragionamento di prospettiva, rimettere insieme forze diverse, anche quelle che non c’erano nella battaglia del congresso». Ci saranno anche quelli del Laboratorio per la sinistra, che insieme al network per il socialismo europeo il prossimo venerdì hanno organizzato un altro appuntamento sull’«Europa della solidarietà contro la crisi».

Non ci sarà invece Gianni Cuperlo (e siamo al terzo rivolo della sinistra Pd), che per il 12 aprile aveva convocato gli stati generali della sinistra Pd, che però a questo punto conta più che altro defezioni. E che dovrà fare i conti con i messaggi che ormai arrivano da molti suoi (ex) sostenitori: prendere atto della «fine del congresso», leggasi farsi da parte. Il quarto rivolo è quello di Civati, che forte di un buon drappello a Palazzo Madama prepara la battaglia sulla riforma del senato. E si proclama «l’unica opposizione del Pd», «almeno l’unica rimasta unita».