«Non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo», tuona (insolitamente) il ministro Dario Franceschini. Dal Meeting di Cl il ministro Graziano Delrio, renziano di rango, si unisce al salmo democratico intonato dal segretario Epifani e recitato da tutto il gruppo dirigente Pd: «Il Pd non può che prendere atto della sentenza. Il partito non può che votare a favore della decadenza. Politicamente non c’è altra soluzione». Sul caso Berlusconi il Pd è concorde – a parole – come mai nella sua travagliata vita: voterà, assicurano tutti, la decadenza, rifiuterà «baratti e ricatti».

Giura di non avere dubbi il senatore Nicola Latorre, noto garantista, ed esclude l’eventualità di franchi tiratori in aula. Stessa convinzione di Matteo Orfini, sinistra Pd. Il centrista Giorgio Merlo va oltre: «È inutile ripetere noiosamente le stesse cose. Pd e Pdl hanno, come sapevamo da mesi, visioni opposte e alternative su come affrontare e risolvere il “caso Berlusconi”. Se ne prenda atto e si metta fine a questa agonia dannosa per il paese. Senza dar vita a maggioranze politiche con transfughi, voltagabbana e giuda di turno».

La sorte del governo sembra infatti segnata. Ma il tempo e il modo in cui cadrà l’esecutivo saranno determinanti per il dopo. Per la campagna elettorale del Pdl, ma anche per quella del Pd. E per l’eventuale ricandidatura di Letta alla premiership, che Franceschini e Bersani si augurano, e gli amici di Renzi escludono citando gli impegni presi da Letta con il sindaco di Firenze.
Renzi non parla da giorni. Il sindaco tornerà questo week end dalle vacanze negli Stati uniti e dopo un passaggio a Palazzo Vecchio comincerà il tour delle feste di partito, da dove imprimerà una nuova marcia alla corsa verso Palazzo Chigi. In ogni caso, se i tempi del finale di partita si allungassero, il premier e il sindaco avrebbero tutto da guadagnarci.

Per questo, nel coro democratico, qualche sfumatura, qualche accento, se non qualche stecca, si riesce a già sentire. Il ’quando’ e come cadrà il governo è la partita a scacchi che si giocherà nei giorni della giunta per le elezioni del senato, dal 9 settembre in avanti. Allungare i tempi senza perdere la faccia sarebbe la soluzione migliore per per Letta, che avrebbe il tempo di portare a casa l’obiettivo del superamento dell’Imu, spuntando un’arma letale per la campagna elettorale del Pdl e spingendo la data del voto fino a febbraio-marzo 2014.

La giunta sarà il teatro delle tattiche dilatorie del Pdl, che accusa il Pd di una scelta «contra personam» (Alfano). Per schivare l’accusa, il Pd di Palazzo Madama potrebbe fare il beau geste di accettare quelli il Pdl chiama «gli approfondimenti» del caso. «Chiediamo al Pd di studiare ancora questa materia delicata», ha detto Alfano ieri anche lui da Rimini. «E chiediamo di approfondire il punto cardine del funzionamento democratico, ossia la possibilità di un cittadino eletto dal popolo di permanere nel ruolo che il popolo ha voluto che occupasse. Chiediamo la valutazione giuridica».Per il Pd non è accettabile la richiesta di portare il caso all’attenzione della Consulta, già esclusa dal presidente della giunta Stefano.

Ma alla richiesta di uno stuolo di audizioni, magari dello stesso Berlusconi, il Pd potrebbe sottrarsi? Difficile. Lo ammette il senatore veltronian-renziano Giorgio Tonini: non ci sta ad accettare il ricatto del Pdl sul governo, ma non c’è «nessuna fretta», dichiara alla Stampa, «ci sono molte opinioni diverse, per questo è giusto prestare attenzione a questi argomenti. Senza pregiudizi di tipo politico».

Anche Rosy Bindi si destreggia: «Non ci rifiuteremo di fare degli approfondimenti, come sempre nelle commissioni», spiega a Sky. «Ma nessuno chieda approfondimenti per perdere tempo». In realtà perdere-prendere tempo non servirebbe al Cavaliere perché la Corte d’appello di Milano deve ancora decidere sulla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per il Cav. «Gli effetti di quella sentenza sono comunque quelli della sua decadenza o interdizione dalla funzione di senatore», conclude Bindi. Fra «perdere» e «prendere tempo», in fondo, c’è solo qualche cambio di lettera. E alla fine della storia c’è comunque la decadenza di Berlusconi. Sempreché il tempo perso-preso non gli serva a guadagnare l’ennesimo colpo di scena.