Il Pd sta messo davvero male. Se sono attendibili le stime fornite da Ilvo Diamanti su la Repubblica del 16 settembre (ma in genere lo sono), il Pd arranca in cima alla classifica di un voto eventuale, ma tallonato da presso dal Pdl in sorprendente rimonta. Uno può fare a questo punto tutti i commenti che vuole sulla desolante iniquità dell’elettorato italiano, ma forse sarebbe meglio pensare ai casi propri: se uno cresce e l’altro no, in genere la colpa può essere divisa a metà, e in questo caso certamente lo è.
Quando l’esperimento post-elettorale di Bersani fu mandato, prima del tempo limite, a carte quarantotto, scrissi su questo giornale che per ottenere quel risultato, e passare d’autorità al governo delle larghe intese, bisognava sacrificare sull’altare della politica di unità nazionale anzitutto e soprattutto il Pd. Mi dispiace dirlo, avrei preferito non averci azzeccato, ma invece è andata puntualmente così.
Pare che il Pd abbia diminuito della metà i suoi iscritti: motivi dichiarati dai sondaggisti, il governo delle larghe intese (ma su questo tornerò) e i tentennamenti, le paure, le incertezze in merito alla decenza del cittadino Berlusconi.
Se le cose stanno così, – e mi pare ragionevolmente che stiano così, – la settimana che si è aperta risulta decisiva. Il Pd ha di fronte a sè l’ultima chance: non ce ne saranno altre fino alle prossime elezioni, destinate a essere anche più catastrofiche del previsto se non verrà giocata come si deve.
L’ultima chance si compone di due segmenti, strettamente collegati fra loro. Il primo riguarda il voto nella Commissione del Senato sulla decadenza del cittadino Berlusconi. Difficile sottovalutare l’importanza grandiosa che il comportamento dei componenti Pd in Commissione è destinato ad assumere nell’impostare con estrema chiarezza il processo che dovrà concludersi in aula. Se saranno fermi a votare la decadenza, sarà messo un tassello importante nella faticosa riconquista di una “buona politica” in questo sventurato paese. Altrimenti dovremo rassegnarci ad andare a rotoli.
Il secondo segmento riguarda l’Assemblea nazionale del partito, che si terrà il 20 settembre, per impostare il futuro congresso e, più o meno esplicitamente, per delineare il percorso del partito fino alle prossime elezioni.

Sia consentito a uno come me che non ha bisogno di essere rottamato da chicchessia perché è da tempo un rottamato biologico che ogni anno che passa lo diventa sempre di più (meno comunque, spero, di quanto qualcuno si augurerebbe) dire che l’idea che a qualcuno venga in mente di candidare Matteo Renzi alla segreteria del partito o addirittura alla premiership ha un sapore comico e paradossale, di cui, guardandoci tutti un momento allo specchio, si dovrebbe tenere conto.
Battute, gesti, ammoina e colore locale… neanche un’idea, un progetto, un’apertura culturale di qualche minimo peso, ma soltanto il sospetto, non dichiarato ma tangibile, di una sostanziale vocazione di destra. Insomma, la riproduzione in sede Pd del fenomeno Grillo fuori del Pd: per affermare e trionfare, ci si appoggia sull’estrema estenuazione di un elettorato che, di delusione in delusione, di sconfitta in sconfitta, si è anch’esso depoliticizzato, deculturalizzato, depotenziato.
La domanda che mi si potrebbe porre è appunto questa, se si dovesse tener conto anche in questo caso delle sullodate stime diamantine: cosa c’è da lamentarsi se Renzi svetta in cima alle classifiche dei potenziali premier democratici? Egli interpreta oggi lo spirito del mondo.
Alla domanda rispondo con un’altra domanda: possibile che al degrado, se non universale, certo oggi molto diffuso, si debba rispondere in questo modo? Possibile che non esista un modo serio, collettivo, ragionato, sociale, di rifare anzitutto il partito, che, consegnato nelle mani di questo improvvisato leader, sarebbe destinato, e consapevolmente portato, allo sfacelo totale?
Auspico che a questa perniciosa prospettiva uomini e donne che vengono da organizzazioni e da esperienze di movimento in cui si sa di cosa parlo, pongano un argine.
Se è necessario prolungare i tempi per ottenere questo risultato, si tenga in piedi il governo Letta con la maggioranza parlamentare che si potrà raccogliere una volta conseguita la decadenza di Berlusconi. Se ne approfitti per fare una legge elettorale nuova, rispettosa dei diritti di cittadinanza. E nel frattempo si torni a tessere la tela di un centro-sinistra sempre più allargato, – allargato a Sel ma anche ai movimenti sempre più presenti nel nostro paese, cresciuti negli interstizi di una politica spesso rinunciataria e deficitaria. Si tratta di ricostruire un partito, non d’imboccare l’ennesima avventura personalistica e autoritaria.