Il Pd celebrerà la sua assemblea nazionale il 19 maggio. Dove, se il voto sarà vicino, eleggerà segretario l’attuale reggente Maurizio Martina. Al Nazareno il miracolo dell’unanimità l’ha fatto la paura del voto. E infatti non è detto che se nelle prossime ore prendesse quota l’ipotesi di un governo Lega-M5S, ieri improvvisamente tornata in pista, i giochi fatti nell’ennesimo caminetto Pd non vengano immediatamente disfatti. E ricomincino le liti.

PER ORA LA «PAX» è stata siglata: ieri il presidente Matteo Orfini ha ufficializzato la data dell’assemblea che deciderà se aprire un congresso o eleggere subito un segretario saltando le primarie. La scelta dipende dalla data del voto. Se il voto sarà a ottobre la maggioranza renziana non rinuncerà a lanciare Lorenzo Guerini. Se il voto scavalla al 2019, si potranno celebrare primarie vere, e a questo punto potrebbe entrare in gioco Graziano Delrio, sempreché si convinca.

«C’È MARTINA CANDIDATO segretario in assemblea, si vota e vedremo se sarà eletto segretario o no. Se poi ci saranno altri, vediamo», ha detto ieri il ministro Orlando ai cronisti. La minoranza tiene fuori gioco la carta Zingaretti. Avrebbe bisogno di più tempo: è stato appena rieletto nel Lazio e prima del 2019 difficilmente potrebbe tentare la corsa alle primarie. Ammesso che lo faccia davvero: il governatore ha molte volte annunciato il suo «passo avanti» nel partito. E che il suo impegno non sia per questa stagione lo dimostra anche il fatto che lunedì al Nazareno, all’affollatissima riunione di caminetto, c’erano tutti ma proprio tutti i capicorrente e alcuni generali senza truppe (Martina, Orfini, Delrio, Marcucci, Guerini; Minniti, Calenda, Franceschini, Orlando, Cuperlo, Fassino e Antoci, area Emiliano): ma lui non c’era.

CON IL VOTO INCOMBENTE a luglio in ogni caso le primarie sono escluse: c’è appena il tempo di riorganizzare un partito malridotto per immolarsi a una nuova sconfitta alle urne. In questo caso il segretario sarà Martina. È il candidato della minoranza, ma si è piegato alla linea di Renzi; ha lamentato di essere stato «delegittimato» dal predecessore ma poi ha ingoiato il rospo.

IERI SU DI LUI AL NAZARENO è stato raggiunto un accordo di massima: «Se si vota a luglio non ha senso dividerci. Perché l’unica cosa che conta, cioè le liste, sarà congelata», spiega uno dei presenti. Nel caso di voto a luglio non si vorrebbe riaprire il vaso di pandora dei nomi, il rischio è scatenare la guerra civile. La maggioranza propone di tenere quelli del 4 marzo. Le minoranze, all’epoca spianate da Renzi, non sono d’accordo. E poi ci vorrà qualche ritocco per fare spazio a Liberi e uguali: gli ex Pd tornano a Canossa dopo la batosta elettorale.

TUTTI UNITI sotto il nome di Paolo Gentiloni. Del resto ai tempi della scissione lo difendevano dal voto anticipato su cui ’tirava’ Renzi. Gentiloni candidato della coalizione (ci vorrà un aggiustamento allo statuto per ’sloggare’ il segretario dal candidato premier) fa gioire l’area antirenziana, dopo le critiche del premier domenica sera su Raiuno. Ma anche Renzi dà il via libera all’«amico Paolo»: «È il candidato naturale»,dice a DiMartedì (La7).
GENTILONI È ANCHE UNO allenato alla coabitazione difficile con Renzi. L’ex segretario ieri in tv ha tolto l’ultimo dubbio sul suo rientro sulla plancia di comando del Pd: «Io non correrò alle primarie e il prossimo leader del Pd lo sceglieranno le primarie» (se non si andrà al voto entro l’anno). Non correrà ma non si farà da parte. Magari spargendo qualche veleno sui suoi: «Se qualcuno mi dice ’tu non aprire più bocca, perché dobbiamo fare accordo di nascosto con i 5 Stelle’, io rivendico di poter dire che la coerenza e la dignità valgono molto di più di un accordo sottobanco».

COSÌ COME NON RINUNCIA alla battutaccia sugli ex della Ditta Bersani&Co. Ieri il coordinatore di Mdp Speranza, intervistato dalla Stampa, ha proposto la «réunion» con gli ex a partire dai due fallimenti paralleli, quello proprio e quello del Pd. Renzi non gli risponde direttamente ma in tv si concede uno sfottò: «Io ho aperto a Bersani? Non mi pare proprio, forse ero sovrapensiero».

NON SARÀ FACILE PER GLI EX riavvicinarsi al Pd, con Gentiloni che apre e Renzi che sfotte. La prospettiva già mette in agitazione la lista di Grasso (che ha eletto 14 deputati e 4 senatori: 8 Mdp, 3 Sinistra italiana, 1 di Possibile e 2 indipendenti, Boldrini e Muroni). C’è malumore in Sinistra italiana e in Possibile (a sua volta a congresso in questi giorni). Ieri alla riunione dei deputati Speranza non si è presentato. Stamattina Leu riunisce il suo coordinamento allargato. La prospettiva di un ritorno al voto in corsa solitaria – a cui pensa Si – non è tutta salita. Ma anche riattaccarsi al carro dem, dopo lunga stagione degli schiaffi non sarà un pranzo di gala.