«Un congresso che duri al massimo sette-otto mesi e finisca in tempo per le Europee, che si concluda con le primarie aperte a tutti». Già alla riunione del «caminetto» renziano, convocato dall’ex leader la scorsa settimana nello studio Marcucci di via Veneto, Graziano Delrio si era speso con fervore per la proposta di mettere da parte la strada mesta del galleggiamento, cioè Martina, e di «non rinunciare ai gazebo». Anche se l’idea di riaprirli in piena crisi Pd appare un azzardo al Nazareno.

IERI IL CAPOGRUPPO DEM alla camera l’ha ripetuta a Ottoemezzo (La7) lanciandola apertamente sul confuso tavolo del dibattito interno Pd. I gazebo, luogo simbolo del partito, per le cariche monocratiche da anni non sfornano più candidati vincenti a nessun livello (salvo rare eccezioni). Quelle per l’elezione del segretario nazionale godono di migliore salute: ma per gran parte del gruppo dirigente, incluse le minoranze, non è il momento di imbarcarsi nell’impresa, con un partito ridotto ai minimi e percorso da tensioni e linee di rottura. Per Delrio invece vanno riattivate, magari non subito ma presto: «In fondo le primarie aperte a tutti sono la nostra genetica, siamo nati così e dobbiamo continuare così».

OGGI POMERIGGIO alle 18 i parlamentari del Pd si riuniscono al Nazareno. All’ordine del giorno c’è il secondo giro di consultazioni al Colle, che partirà in settimana. Al quale la delegazione Pd si presenterà sulla stessa linea del primo incontro con Mattarella. Le finte aperture al dialogo da parte di Di Maio non hanno convinto nessuno, neanche gli «aperturisti» Franceschini e Orlando. Che nella critica alla strategia «dell’arrocco» hanno opposto solo critiche di metodo. Il governo insieme ai 5 stelle è fuori discussione per tutti (tranne che per Emiliano e il suo parlamentare di riferimento Francesco Boccia).
RENZI oggi potrebbe essere presente, ma solo per ascoltare. Ha annunciato che parlerà solo il 21 aprile all’assemblea nazionale che dovrà decidere il futuro leader. Lì le opzioni saranno due: eleggere un segretario direttamente dall’assemblea, unico candidato in questo caso è Maurizio Martina; o aprire il percorso congressuale: in questo caso due candidati ci sono già, Nicola Zingaretti e Matteo Richetti. Altri potrebbero aggiungersi. Martina uscirebbe di scena e la reggenza passerebbe al presidente Matteo Orfini.

L’EX LEADER NON HA ANCORA deciso su quale delle due opzioni far pesare la sua golden share in un’assemblea in cui ha ancora la maggioranza. Martina è fedele alla sua linea, ma ha una preoccupazione per la «gestione collegiale» che non tranquillizza i renziani, soprattutto nel caso in cui si trovasse a gestire le liste del voto anticipato. D’altro canto un segretario eletto dalle primarie avrebbe una sua forza autonoma. E comunque lanciare i congressi di circolo e potrebbe risultare surreale in caso di rapido ritorno alle urne: negli ultimi giorni a palazzo sono scese le quotazioni di un governo Lega-centrodestra. Per questo Delrio propone un percorso congressuale molto slow.

IL PEGGIO PER IL PD sarebbe comunque restare impantanato come in questi giorni. Martina è uomo di maggioranza ma di garanzia per le minoranze. Il risultato è che il suo Pd resta fermo, imballato e imbambolato, e assiste inerte al suo sgretolamento. Ieri in Sicilia il renzianissimo Davide Faraone ha preso alla lettera l’idea di andare «oltre il Pd» e ha lanciato il suo «Nuovo campo», per imbarcare «i moderati», leggasi i forzisti.

PROPRIO NELLE STESSE ORE Martina e Andrea Orlando pregavano uno dei padri fondatori del Pd, Goffredo Bettini, di non cedere alla tentazione dell’abbandono, annunciato con un intervento all’Huffington post: «Se Renzi vuole fare Macron, lo faccia liberamente e serenamente», ha scritto l’europarlamentare, «Nello stesso tempo il campo progressista e della sinistra ritrovi la voglia di riorganizzarsi per una via del tutto nuova, sbaraccando tutte le attuali formazioni politiche che la abitano», «Non vedo perché ci dobbiamo continuare a trattare nel Pd come acerrimi nemici, con punte di vero e proprio odio, tenendoci l’uno con l’altro prigionieri e immobili, quando potremmo benissimo nel futuro allearci in una coalizione democratica».