Mai sia detto che il Pd e il governo mettano una nuova tassa, come ha twittato qualche giorno fa Matteo Renzi. E soprattutto a nemmeno venti giorni dal referendum: ma ieri il «peccato mortale» – dopo quello già duramente censurato dal premier nel caso Airbnb – stava per ripetersi. Un emendamento dem al ddl Bilancio proponeva infatti di unificare Imu e Tasi, creando così la nuova Imi. La modifica era stata ispirata dall’Anci, e ha subito provocato le proteste delle opposizioni e di Confedilizia.

A metà pomeriggio, vista la bufera, il Pd aveva già annunciato di essere pronto a fare retromarcia, nonostante – affermava il partito – fosse già stato calcolato che l’Imi non avrebbe comportato un incremento degli importi dovuti dai contribuenti. E alla fine, in serata, è arrivato il dietrofront: «Abbiamo appurato che in alcuni casi ci potrebbe essere, anche se lieve, un aumento della tassazione per i cittadini. Per questo abbiamo ritirato la proposta di modifica in questione».

Puntuale è arrivata quindi la censura dello stesso Renzi: «Siamo al festival dell’emendamento. Oggi ce ne era uno in cui l’Imu diventava Imi. Siamo al “compro una vocale” di Mike Bongiorno e io me ne intendo…», ha ironizzato il premier. «Non sta né in cielo né in terra. Noi vogliamo fare, ma senza aumentare le tasse».

Pasticcio analogo era avvenuto con il dl fiscale (quello che, ad esempio, rottama le cartelle di Equitalia) collegato alla manovra: lunedì era stato rinviato in Commissione Bilancio perché si era trovato un «buco» su due misure. Una, quella sugli F24, meno onerosa, è rimasta nel dl perché si è trovata una copertura, mentre è stata cassata la deroga sul regime dei minimi per le partite Iva. Ma verrà riproposta, almeno a quanto promette la maggioranza, nel ddl Bilancio.

Sul decreto è stata posta la questione di fiducia e andrà in votazione questo pomeriggio, alle 17, alla Camera.

Nell’esame degli emendamenti, sono già saltate – perché dichiarate inammissibili – 1500 proposte di modifica su circa 5 mila. Tra queste, quella di Ap che definiva «opera prioritaria» il Ponte sullo Stretto di Messina, dando così un nuovo impulso alla sua costruzione.

Sulla questione Airbnb, in ogni caso, nonostante la scomunica di Renzi, non sono scomparsi gli emendamenti (presentati da vari partiti) su una regolamentazione degli affitti brevi. Sul fronte imposte, il Pd comunque presenta una fantasia fervida: Michele Anzaldi propone una tassa sui cani non sterilizzati e contro il randagismo. «Oltre a essere un problema dal punto di vista etico – spiega – rappresenta anche una questione economica: la gestione dei 750 mila cani randagi in Italia costa alle casse pubbliche circa 5,25 miliardi all’anno». La nuova tassa proposta però non verrà stabilita dallo Stato, ma dovranno essere i Comuni a richiederla.

Da segnalare una proposta interessante dei Cinquestelle, che segnala un problema relativo all’Ape: l’anticipo pensionistico proposto dallo Stato viene di fatto messo insieme ad altri prodotti commerciali proposti da banche e assicurazioni, con una piccola calmierazione dovuta a un modesto investimento pubblico. L’M5S propone di potenziare il carattere pubblico dell’Ape, e quindi la copertura a garanzia di chi vi farà ricorso, abbassando così i costi a carico del pensionando: attraverso la nazionalizzazione di Carichieti.

«Il ministro Padoan – spiegano i deputati Cinquestelle delle Commissioni Finanze e Lavoro – non ci ha pensato due volte a rilevare le quote della Sga-Banco di Napoli per finanziare il flop denominato Atlante. Allora perché non acquisire una delle quattro banche nate dalla risoluzione di novembre 2015 per trasformarla in un istituto pubblico che eroghi l’Ape volontaria al posto degli intermediari privati e a tassi calmierati? Passeremmo dalla fregatura per i risparmiatori alla tutela dei pensionandi».

Con l’emendamento a firma Alessio Villarosa – proseguono i deputati M5S – «abbiamo previsto che lo Stato acquisti Carichieti per trasformarla in “Banca pubblica dello Stato italiano” con una dotazione di 500 milioni, allo scopo di farla diventare il prestatore in favore di chi chiederà l’anticipo pensionistico. Così abbassiamo gli interessi fino a un massimo dell’1,7%. E mettiamo in piedi un fondo di garanzia pubblico che servirà a ridurre pure il peso dell’assicurazione obbligatoria richiesta per l’Ape».

«L’anticipo pensionistico – spiegano i deputati M5S – non va considerato un prodotto in concorrenza con le altre banche, è una misura regolata per legge. A meno che il governo non abbia intenzione di usare l’Ape come prodotto commerciale da dare in pasto alle banche». «Si rischia di incorrere nei vincoli sugli aiuti di Stato? – si chiedono in conclusione – Usa e Regno Unito dal 2008 hanno pubblicizzato numerose banche e assicurazioni per risollevare il sistema, mentre la Ue continua a mettere paletti a Stati come il nostro».