Un documento con una serie di proposte per modificare la legge di bilancio e un ordine del giorno (ma «vedremo nelle prossime ore se presentarlo», è cauto Andrea Martella) sulla necessità di lavorare per un campo largo di centrosinistra.

La minoranza del Pd che fa capo al ministro della giustizia Andrea Orlando si prepara così alla direzione del partito di lunedì, mettendo da parte la questione della candidatura a premier (del resto «i nomi in questo momento sono meno cruciali di quanto non lo fossero con la vecchia legge elettorale», dice lo stesso Orlando) e partendo appunto da una serie di proposte contenute nel documento messo a punto con Gianni Cuperlo e Cesare Damiano, tradotte in altrettanti emendamenti, per provare a riaprire il confronto con Mdp.

In mattinata lo stesso Matteo Renzi aveva esibito massima disponibilità nei confronti di Orlando che chiedeva «atti concreti» per dar vita a una coalizione di centrosinistra: «Non ci sono problemi nel Pd e siamo tutti d’accordo sulla linea dell’apertura». Il premier aveva spiegato di averne parlato con lo stesso Orlando, giovedì sera. Non significa certo che la coalizione di cui parla Renzi e quella che ha in mente il guardasigilli siano la stessa. In attesa di ascoltare la quello che dirà Giuliano Pisapia domenica all’assemblea di Campo progressista a Roma, il leader dem continua a guardare all’ex sindaco di Milano. E ieri il segretario di Radicali italiani, Riccardo Magi, che sarà domenica all’assemblea di Cp, ha riferito dell’invito di Renzi a un incontro: «Dopo anni di silenzio, non possiamo che essere grati al Pd, dopo settimane di interviste e retroscena che davano i radicali già dentro la coalizione, di averci contattati in queste ore». Ma, aggiunge Magi, «la nostra storia non è in svendita. Siamo aperti al dialogo, ma con la chiarezza dei nostri obiettivi politici».

Nel suo documento, la minoranza dem propone invece, tra l’altro, modifiche al Jobs Act aprendo «un confronto sulla disciplina dei licenziamenti disciplinari e collettivi», il «superamento del superticket», meno bonus e più interventi mirati, incentivi strutturali per l’assunzione dei giovani, il rinvio a giugno 2018 dell’aumento automatico dell’età della pensione, il tutto con una leggerissima spruzzata di ambientalismo. E con qualche osservazione su quello che non ha funzionato al meglio dei «mille giorni», ma non molto di più.

«Se si aprisse nel Pd una riflessione vera che andasse dal Jobs Act alla buona scuola, questo segnerebbe l’avvio di una fase nuova», commenta da Mdp Alfredo D’Attorre. L’unico: l’accoglienza generale è il silenzio, come a dire che la partita è ormai tutta tra i dem. Del resto proprio ieri si era riaccesa la polemica con Piero Grasso, che giovedì sera aveva detto: «Non so se sono uscito io dal Pd o è il Pd che non c’è più». Nessuna rispostaccia da parte di Renzi: «Mi occupo di cose concrete e anzi ringrazio Grasso che ha dichiarato ammissibile l’emendamento» sull’uscita dei minori di 14 anni da scuola. Il segretario ha però lasciato ai suoi la replica. Una per tutte, quella del capogruppo alla camera Rosato: «E’ insostenibile che entri a gamba tesa vista la sua carica».