In queste ore le metafore per descrivere il possibile clamoroso ritorno di Enrico Letta dall’esilio parigino si sprecano: dal classico Cincinnato fino al Revenant, il cacciatore redivivo che è valso l’Oscar a Leonardo Di Caprio.

Il fatto è che l’ipotesi di una chiamata di Letta alla guida del Pd si sta facendo sempre più concreta: il pressing, prima discreto, è diventato insistente: non solo Dario Franceschini (che fu suo sodale prima di tradirlo con Renzi), ma anche Nicola Zingaretti, consapevole che dopo il suo improvviso addio il Pd rischia il default, si sono attaccati al telefono per convincere l’ex premier a mollare (almeno temporaneamente) il prestigioso incarico di direttore della scuola di affari internazionali di Sciences Po per tentare di rianimare il partito.

NEL PD IERI SI PARLAVA SOLO di Letta. Che, dopo un iniziale «No grazie», ora sta riflettendo sulla proposta. Chi gli ha parlato lo descrive «molto preoccupato» per il Pd, il partito che ha contribuito a fondare e con cui è sempre rimasto vivo un legame che è sopravvissuto alla stazione renziana e alla «defenestrazione» (questa è la parola usata nel giro lettiano) da palazzo Chigi all’inizio del 2014.

Da Parigi, l’ex premier osserva la crisi in cui il Pd si sta avvitando, poco attratto dalla giungla e dai coltelli che volano e tuttavia convinto che «questi sono tempi eccezionali». Che richiedono da parte di tutti un «surplus di serietà». Non si tratta di condizioni da porre, o di trattative, ma prima di fare un passo così rischioso Letta vuole verificare che tutti abbiano messo a fuoco la gravità della situazione e la necessità di risposte all’altezza. Di certo, non mollerebbe Parigi per fare il traghettatore per qualche mese, ma il segretario fino al 2023.

IL PD INFATTI STA SPROFONDANDO nei sondaggi (intorno al 16%), rischia di perdere autorevolezza anche nei confronti del premier Draghi e con gli interlocutori a Bruxelles. Di restare esposto alle scorribande delle sardine (Mattia Santori ha definito il Pd un «marchio tossico»), ma anche a quelle assai meno benevole di Grillo e di Conte. E questi sono elementi che spingono Letta a un supplemento di riflessione.

A ipotizzare di tornare sul luogo del delitto, in quella comunità che gli diede il benservito senza tanti complimenti per spalancare a Renzi le porte di palazzo Chigi. Ma il fatto che ieri il gruppo di lavoro coordinato dalal reggente Valentina Cuppi abbia confermato l’assemblea nazionale per domenica dimostra che la soluzione del rebus è a portata di mano.

LA RICHIESTA DI FRANCESCHINI e Zingaretti è condivisa da Andrea Orlando, dunque tutta la maggioranza che ha sostenuto l’ex segretario (circa l’80% dei delegati in assemblea) è pronta a votare per Letta. Più freddi gli ex renziani di base riformista e il gruppo di giovani turchi di Matteo Orfini. entrambi i gruppi chiedono che, in ogni caso, si faccia il congresso a inizio del 2022, appena finirà la pandemia.

L’ipotesi Letta viene accolta positivamente da Franco Mirabelli, numero due al Senato: «Avrebbe lo standing per fare bene questo lavoro, per tenere insieme la maggioranza congressuale che ha eletto Zingaretti avendo anche la possibilità di dialogare con la minoranza». Sulla stessa linea il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: «Sarebbe un ottimo nome». «Una grande occasione per noi», rincara Matteo Mauri, coordinatore dell’area che era di Maurizio Martina. «Serve un segretario vero, che non si limiti a traghettare il partito al congresso», dice la vicepresidente Anna Ascani.

Se Letta alla fine dovesse rinunciare, il nome più probabile per gestire il Pd fino al congresso tra un anno è quello dell’ex ministra della difesa Roberta Pinotti, sostenuta con forza da Franceschini, i cui voti sono determinanti per sbarrare la strada a Andrea Orlando, vicesegretario in carica ma anche neoministro del Lavoro. «In passato, in caso di dimissioni del leader, si è sempre eletto il vice, ma Andrea dovrebbe lasciare il ministero e questo sarebbe un problema», spiega una fonte vicina a Orlando.

NEL PIENO DI QUESTA BUFERA, ieri il Pd si è dedicato a Rocco Casalino, reo di aver detto su Rai1 che «nel Pd ci sono persone straordinarie come Zingaretti e anche Franceschini. E poi ci sono alcuni cancri che andrebbero estirpati». All’improvviso i dem di tutte le correnti ritrovano la parola dopo giorni di choc: pioggia di commenti disgustati, «sciacquati la bocca», attacca Alessia Morani, «dimmelo in faccia», rincara la giovane turca Giuditta Pini. Marcucci chiede se parli a nome del M5S o di Conte.

Casalino si scusa, «espressione infelice», ma ribadisce il concetto: «Nel Pd ci sono persone che lavorano per distruggere». Orfini coglia l’occasione per chiudere all’alleanza col M5s, «una stagione piuttosto infelice».