Nonostante i «no comment» ufficiali, la manifestazione del 12 ottobre non è stata passata sotto silenzio nei palazzi della politica. Né la promessa «stringiamoci le mani» fatta dal palco da Maurizio Landini a nome dei promotori che, negando la nascita di un nuovo partito, ha tenuto però a battesimo un «fronte» per la Costituzione contro ogni tentazione presidenzialistica. Fronte che il Pd non sottovaluta e che rischia di inceppare i già poco oleati ingranaggi delle larghe intese.

Anche a sinistra quel fronte, che pure si tiene alla larga dalle sfortunate avventure elettorali post-arcobaleno, si abbatte come «un fatto nuovo» (copyright ancora Landini) sull’imminente stagione dei congressi (in ordine di svolgimento: socialisti, Pd, Prc e Sel). A partire da casa Vendola, sponda politica naturale del movimento (è uno dei due gruppi parlamentari contro la modifica dell’art.138, l’altro è l’M5S che però non aderisce alla «via maestra»). Domenica, all’indomani della piazza, in Sel si è svolto un «chiarimento franco e leale»: e quando a sinistra si usano aggettivi così, sono sempre dolori.

Una riunione a porte rigorosamente chiuse. Oggetto del «chiarimento», dopo il successo della «via maestra», qualche eccesso di sfumature fra i gruppi parlamentari, giudicati troppo possibilisti nei confronti del Pd larghintesista – che oggi Vendola definisce «il riformismo diventato trasformismo» – e l’altro coté del gruppo dirigente – Vendola, Giordano, Mussi – nel passaggio della fiducia . Momento del resto delicato, quel 2 ottobre: Sel ha votato no, ma ha appreso solo in aula della nascita della «nuova maggioranza» Letta-Alfano. Mentre dal colle più alto le veniva ricordata «la rottura» del ’98: sinistra avvertita, a futura memoria.

Ora Sel al congresso di gennaio, deve scegliere la linea della nuova fase. Soprattutto in vista delle europee: la quota 4%, indispensabile per ritornare nell’europarlamento, è la prova capitale per l’esistenza del partito. C’è chi, negli giorni scorsi, ha proposto l’unificazione con le liste dem: ipotesi lunare, nel Pd dell’era Letta-Alfano.
Negli scorsi giorni il presidente di Sel ha avuto un colloquio con Renzi. All’indomani ha avvertito i suoi: «Il Pd non è il destino di Sel.

Può essere un alleato se ce ne saranno le condizioni. Ma le condizioni non sono quelle vergognose di un’alleanza in continuità con le politiche di Monti. Non scimmiottiamo le pratiche teatrali e populiste dei 5 stelle. Ma non deraglieremo dal binario dell’opposizione. Se facciamo errori su questo punto siamo destinati a fallire». Il punto, spiega Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della regione Lazio «è che le larghe intese stanno peggiorando la vita dei cittadini. Lo sa anche buona parte del Pd, e non è un caso che tutti i candidati alla segreteria, in un modo o nell’altro, danno un giudizio critico sul governo Letta. Noi dovremmo essere da meno? Ora spetta a noi fare una proposta. Non ai partitini della piazza del 12 ottobre, ma alle individualità che hanno disegnato un nuovo orizzonte politico non solo sul fronte delle riforme ma anche sul reddito minimo, sull’acqua pubblica. Mettendoci a disposizione di questo movimento, provando a portare questa discussione a Bruxelles. Un’idea di Europa bene comune».

Smeriglio, va detto, è il vice del presidente Nicola Zingaretti. E cioè del ’big’ del Pd che non si è schierato nel congresso ma che tiene posizioni molto critiche verso il suo partito. E non solo. Sabato scorso Vendola e Smeriglio (ma anche Migliore e il capo dell’organizzazione Ciccio Ferrara), prima di andare al corteo, hanno partecipato all’assemblea del documento di Goffredo Bettini. Dove il padrone di casa ha criticato alzo zero il Pd e chiesto le dimissioni di Letta subito dopo la legge di stabilità e la legge elettorale. Bettini, da tempo, propone la fondazione di un «campo largo» della sinistra. Vendola ha risposto sì. Ma è chiaro che tutto resta congelato fino alla fine del congresso dem. Renzi, vincitore annunciato, erede della vocazione maggioritaria veltroniana (quella che nel 2008 asfaltò la sinistra) sulle alleanze per ora resta sul vago. Ma i suoi posizionamenti (dal welfare all’amnistia) promettono poco di buono a sinistra. Dando fiato all’ala di Sel che guarda a sinistra, capitanata dal giovane Nicola Fratoianni. E anche a quella intorno a Fulvia Bandoli, che non ha mai digerito neanche le modalità «subalterne» dell’adesione di Sel a Italia bene comune.

E così dentro Sel nasce, per la prima volta dal 2009, quella che con un eufemismo in politica si chiama articolazione interna. Aree e correnti, fine dell’unanimismo vendoliano. «Dobbiamo fuggire da ogni idea minoritaria, evitare di chiuderci in una ridotta. Insomma, nessun accrocchio a sinistra», attacca Peppe De Cristofaro, senatore campano, «per questo, nonostante le larghe intese – di cui mai potremo far parte, Berlusconi vivo o morto politicamente parlando – dobbiamo cercare di tenere un filo di dialogo con il Pd. Costruendo, da questa parte, un campo largo con chi stava in piazza sabato scorso».

Un campo aperto che approdi alle europee, spiega Migliore, che pure avrebbe visto bene l’avvicinamento al Pd. «Con le nostre culture diverse, da quella ambientalista alla sinistra, dobbiamo dare un contributo originale alla discussione sul candidato presidente Schulz. E aprire una discussione dentro il Pse , al quale abbiamo chiesto di aderire. Del resto sia nel Ps francese che nell’Spd si sta aprendo questa discussione discussione. Rilanciando l’idea di Europa bene comune». Sempreché il Pd accetti che la traduzione europea della coalizione che fu di Bersani approdi in Europa. Ma solo – e la sfida è pesantissima – nelle liste di Sel.