ICongresso anticipato? Matteo Renzi potrebbe ripensarci. Dopo aver annunciato venerdì scorso la sua decisione («è una proposta all’assemblea», dicono i suoi per attenuare l’impressione dell’uomo solo al comando), ora il segretario Pd potrebbe cambiare linea. Il suo piano per tornare a Palazzo Chigi prevedeva tre mosse: congresso e primarie entro la primavera, dimissioni del governo e voto a giugno. Ma la minoranza, che pure prima del referendum aveva proposto l’anticipo delle assise, gli ha spiegato che non si può fare. Statuto alla mano, articolo 3 comma 2: il testo – per la verità assai arzigogolato – prevede che in questo caso il segretario si dimetta. L’obiezione, avanzata dall’ex responsabile organizzazione Nico Stumpo, è confermata dal ’pontiere’ Gianni Cuperlo: «Stando alle regole del nostro statuto Renzi dovrebbe dimettersi, ma ritengo che dopo lo sconquasso di questi giorni sarebbe opportuno mettere da parte le regole e aprire una civile discussione politica».

In effetti l’obiezione a prima vista sembrava una roba da azzeccagarbugli. Ma la minoranza diversifica le voci. Il ’mite’ Roberto Speranza giura, come ha fatto ieri a La7: «Al congresso farò la mia battaglia politica nel Pd per cambiarlo, perché il Pd o cambia o muore. Ma va fatto un confronto vero, non un votificio, per ridefinire chi siamo e dove andiamo. Il ’cattivo’ Stumpo invece la mette giù dura: «Si sente parlare di assemblea il 18, direzione il 20 per eleggere la commissione congresso, e via con la presentazione delle liste il 10 gennaio. E il regolamento quando lo facciamo, la vigilia di Natale? Se è così se lo fanno da soli. Se lo votano a maggioranza, come le riforme. E poi si vede che fine fanno». Ieri per tutto il giorno i capannelli di Montecitorio sono l’immagine plastica di un partito in confusione.

Il vicesegretario Guerini discute con Dario Franceschini, confabula con Beppe Fioroni, infine parla con Stumpo. Da un lato del Transatlantico si appartano di ministri Martina e Orlando. Dall’altro i ’turchi’ circondano Matteo Orfini, che più di tutti sostiene la tesi della «legislatura finita» e del voto anticipato: cioè la linea Renzi.

Ma in giornata arrivano i primi segnali del fatto che il voto in primavera può essere una chimera. «Lascio alla dialettica delle forze politiche la durata della legislatura», ripete due volte il neopresidente Gentiloni. Non può dire altro, la Costituzione non prevede esecutivi a scadenza. Ma fra i dem trapelano perplessità sui tempi di approvazione di una nuova legge elettorale. Mattarellum, proporzionale, bozza Cuperlo: il Pd è diviso anche su quale base incardinare la discussione.

Tutto questo, insieme all’obiezione statutaria, sta instillando in Renzi il dubbio di evitare forzature. Tanto in caso di elezioni anticipate sarebbe comunque lui a fare le liste dei candidati.

«Va bene anticipare, ma dev’essere possibile dare il tempo al partito di discutere, decidere, e consentire a chi vuole di candidarsi», spiega il bersaniano Davide Zoggia. In realtà per la minoranza il colpo di freno è prezioso, anzi vitale. Per ora un candidato competitivo, in grado di raccogliere consensi oltre l’area della sinistra ex ds, non si trova. Il presidente pugliese Michele Emiliano, mezzo intenzionato di correre, spiega che vuole vedere le regole, «voglio capire di che stiamo parlando. Nessuno ha prescritto a nessuno che si deve candidare, e nessuno può dire a nessuno che tu non ti devi candidare». Il presidente toscano Enrico Rossi è deciso alla corsa a prescindere. Speranza è ancora in ballo, ma con sempre minore convinzione. È escluso un suo ticket con Enrico Letta.

«Enrico è fuori da queste discussioni ed è concentrato sul suo lavoro», chiudono il caso i suoi collaboratori. Ieri alla camera alcuni deputati sono corsi a stringere la mano a Francesco Boccia, prodiano ed ex lettiano, per il duro intervento pronunciato in direzione. «Io ci sono», «Sto con te», le frasi ricorrenti. «Non c’è fretta, ma vediamoci», la risposta del presidente della commissione Bilancio. Nella rosa degli sfidanti potrebbe esserci anche lui.