Dal fuoco delle polemiche sulle candidature del Pd non è stata lambita, ma fra gli addetti ai lavori non è passata inosservata. È la presenza nelle liste dei democratici di Cosimo Ferri, sottosegretario alla giustizia e, soprattutto, leader della corrente di destra delle toghe, Magistratura indipendente (Mi). Formalmente è fuori ruolo da cinque anni, e quindi non più coinvolto nella vita di Mi. Di fatto, la prova che abbia continuato ad avere la regia del suo gruppo sta in un imprudente sms inviato agli affiliati della corrente in occasione delle ultime elezioni per il Csm, nel giugno 2014, con l’invito a votare due candidati, Lorenzo Pontecorvo e Luca Forteleoni. Risultato? Eletti a suon di preferenze. Ma anche una scissione dell’ala antigovernativa di Mi guidata da Piercamillo Davigo.

L’associazione nazionale magistrati protestò per l’ingerenza di un membro dell’esecutivo nelle elezioni dell’organo di autogoverno di giudici e pubblici ministeri, ma l’allora premier Matteo Renzi blindò il sottosegretario. Un posto, quello al ministero, che Ferri ebbe in quanto «tecnico» di area berlusconiana nel governo di larghe intese di Enrico Letta. Con l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza e la scissione di Alfano, il sottosegretario non si mosse dall’esecutivo, praticamente l’unico sopravvissuto in buoni rapporti con il partito del Cavaliere. Così come nulla cambiò con l’avvento di Renzi e poi di Gentiloni. Un’intera legislatura nella quale, evidentemente, il magistrato «prestato alla politica» deve aver maturato idee nuove, scoprendosi di centrosinistra.

Forse un ritorno alla socialdemocrazia del padre, quell’Enrico Ferri che fu esponente del Psdi e ministro dei lavori pubblici («il ministro dei 110 km/h») in un governo pentapartito a fine Ottanta. Poi passò a Forza Italia, per la quale fu eletto a Strasburgo, poi nell’Udeur alleata di Prodi, fino a un rientro alla Corte di Cassazione. Sì, perché anche Ferri padre era magistrato, e anch’egli fu leader di Magistratura indipendente. Una famiglia, i Ferri, molto radicata nella provincia di Massa, dove Cosimo è stato giudice e ora è candidato all’uninominale della camera. È anche capolista nella quota proporzionale per il collegio di Arezzo e Siena, quindi l’elezione è garantita. La passione politica appartiene anche a un fratello, Jacopo, consigliere regionale per dieci anni in Toscana, sotto le insegne di Forza Italia. Con altri interessi, invece, l’altro fratello, Filippo, ex poliziotto condannato a 3 anni e 8 mesi per i fatti del G8 di Genova e attuale responsabile sicurezza del Milan calcio.

Nella prossima legislatura Ferri sarà dunque uno dei pochi parlamentari-magistrati. Non ha avuto la riconferma nemmeno Donatella Ferranti, presidente della commissione giustizia della camera ed ex toga di Magistratura democratica, la corrente di sinistra. Quella dalle cui file era normale che il Pci, poi Pds e Ds (e Rifondazione) pescassero giuristi di prestigio: Pierluigi Onorato, Salvatore Senese, Elena Paciotti, Elvio Fassone, Luigi Saraceni, per fare qualche nome. La candidatura di un autorevole esponente di Mi è, invece, una novità assoluta per il partito lontano erede del Pci. I tempi cambiano. Il guardasigilli Andrea Orlando, già maltrattato come leader della minoranza dem, dovrà far buon viso al fatto che in campagna elettorale sulle politiche della giustizia il Pd renziano non parlerà solo con la sua voce, eventualmente, ma anche con quella di Ferri, espressione di una corrente che non ha gradito la sua riforma penitenziaria, giudicata troppo di sinistra. Ma soprattutto il ministro uscente dovrà celare l’irritazione di chi sa che Ferri è il candidato naturale a guidare il dicastero di via Arenula nel governo che ha davvero in mente il segretario Renzi: la grande coalizione con Berlusconi.