«Se si continua a perdere tempo, che i partiti riconsiderino la proposta del presidente della Repubblica, l’unica seria sul tavolo», dice il capogruppo Pd alla camera Graziano Delrio ieri al Nazareno. Parla nel corso di una conferenza stampa convocata dal reggente Maurizio Martina per reclamare la partenza del lavoro parlamentare. E soprattutto per dare una testimonianza di esistenza in vita del Pd nei giorni dell’irrilevanza.

Il fatto è che in questa legislatura fin qui il Pd fa notizia solo se litiga. E in effetti ricomincia a litigare. La tregua fra i dem è durata poco, con il ritorno dello spettro del voto anticipato l’aria torna a farsi pesante al Nazareno. Il rischio è che l’assemblea nazionale del prossimo sabato si svolga senza che M5S e Lega abbiano sciolto il nodo dell’alleanza di governo. Quindi con la possibilità che le urne possano essere convocate già in autunno.

In realtà i renziani avevano già chiuso la questione. Per il prossimo 19 maggio sono pronti a proporre l’apertura del congresso, da svolgersi non prima di novembre. In questo caso da statuto tutti i poteri passerebbero al presidente Matteo Orfini, affiancato da una commissione congressuale eletta dalla direzione come «organo di garanzia collegiale». «La questione non è Martina o il congresso. Si va al congresso. Punto. Dobbiamo solo decidere quando». spiegano.

Ma Martina prova a giocarsi la sua partita. Non ha intenzione di farsi da parte All’assemblea le minoranze dell’area Orlando e dell’area Franceschini avrebbero intenzione di chiedere la conferma del reggente alla segreteria e il congresso a fine anno. «Se non viene accettata la proposta, anche i renziani dovranno presentare un proprio candidato seguendo il percorso tracciato dallo statuto: raccolta firme in due ore e presentazione del reggente alternativo a Martina», spiegano i suoi parlamentari. Per evitare il voto, i renziani potrebbero far mancare il numero legale, cosa che provocherebbe lo scioglimento dell’assemblea e la possibilità comunque di avviare il percorso congressuale.

Ma i renziani sono indecisi. O, meglio, è Matteo Renzi a non aver deciso. Parlerà all’apertura, ma quello che dirà ancora non è chiaro neanche ai suoi.

All’ex segretario resta fedele la maggioranza del partito, ma lui non ha un candidato da lanciare: l’unico papabile resta Graziano Delrio, che però ancora farebbe resistenza ad accettare.

Ma forse è ancora più vero l’inverso: il senatore di Scandicci non ha ancora deciso se fidarsi fino in fondo del suo ex ministro, che ha sempre dimostrato un certo tasso di autonomia dal giglio magico. Una soluzione di mediazione potrebbe essere un terzo nome, un segretario-traghettatore, come Lorenzo Guerini, renziano dialogante. Ma comunque troppo renziano per le minoranze.

Il punto dirimente torna quello di due settimane fa: e cioè chi gestisce le liste in caso di ritorno al voto.

Ieri intanto Walter Veltroni ha fatto un ennesimo appello all’unità del partito, evocando non per primo l’ipotesi di una divisione (per scongiurarla): «Non credo che le identità che abbiamo unito debbano riconoscere di non essere in grado di coesistere, credo fortemente il contrario. Credo che il Paese abbia bisogno di una grande forza riformista: e che questo possa avvenire soltanto se queste componenti stanno unite»