La Costituzione non è cambiata. Le difficoltà economiche non ne cancellano norme, principi, valori. Restando questi immutati, la crisi può produrre un unico effetto importante: rendere più grave e rigoroso l’obbligo di un oculato impiego delle risorse e l’obbligo di destinarle innanzitutto ai bisogni primari, alla realizzazione delle priorità costituzionali, lasciando ad altri obbiettivi ciò che eventualmente rimane.
In questi tempi disagiati molti (se non tutti) ritengono inammissibili i tagli a sanità, scuola, lavoro, previdenza, ambiente, beni culturali mentre si continuano a sperperare risorse per cose di cui nessuno sente il bisogno o non vuole (opere faraoniche dall’incerto destino, quasi mai finite, di cui nessuno risponde; aerei da combattimento costosissimi e difettosi; spedizioni militari travestite da missioni di pace, ecc.). L’accordo – o meglio il disaccordo – su questo punto sembra abbastanza unanime; ma le sole deprecazioni non bastano, le denunce non fanno avanzare di un passo. È necessario trarre conseguenze coerenti dalle norme e dalle affermazioni ripetute e condivise intorno al loro significato e valore, individuare percorsi sicuri per limitare in modo efficace l’arbitrio delle scelte politiche, sottoponendole a controllo.

L’ostacolo ossessivamente invocato contro ogni richiesta di realizzare la Costituzione è la scarsità di risorse. Torna all’attenzione un discorso degli anni Novanta, diretto a relegare i diritti sociali nella sfera dei «diritti condizionati»: condizionati, s’intende, all’esistenza di adeguate risorse. Destinati a sparire se queste mancano? Difficile sostenerlo, difficile conciliare un’affermazione così drastica con l’affermazione, sempre ripetuta, che i diritti sociali sono diritti fondamentali.

Non ha alcun vincolo, il legislatore, nella scelta di destinare i fondi disponibili all’uno o all’altro capitolo di bilancio? L’altra faccia di una supposta libertà di allocazione – la libertà di sottrarre i fondi a settori della vita sociale cui la Costituzione ha dato rilievo primario e attribuito ai cittadini diritti fondamentali definiti «inviolabili» (art. 2) – ne rende evidente l’insostenibilità.
Che senso avrebbe la Costituzione con i suoi principi se fossero lasciati al pieno arbitrio del legislatore, libero di seguire i dettami della Costituzione o di discostarsene? Il sistema intero ne risulterebbe travolto: innegabile è la circolarità dei diritti, la loro connessione strettissima, la reciproca dipendenza sempre sottolineate da dottrina e giurisprudenza. Non si può pensare ad una libertà «non controllabile».

Proprio in materia di diritti sociali la Corte Costituzionale ha affermato che la discrezionalità del legislatore «non ha carattere assoluto e trova un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati». Così anche i diritti sociali, parte viva ed essenziale della Costituzione, entrano con forza nel giudizio di ragionevolezza. Il fatto che la loro attuazione si compia in particolare attraverso la legislazione non significa che siano senza tutela, rimessi alla «libertà» assoluta del legislatore.
Su queste premesse si può impostare il difficile discorso del controllo sulle scelte in ordine alla destinazione delle risorse, denunciandone la non coerenza rispetto alle priorità costituzionali in aperta violazione delle disposizioni che le stabiliscono. Non si tratta, come ha scritto Alessandro Pace, di chiedere alla Corte una decisione che comporti «uno ’sforamento’ delle disponibilità finanziarie previste in bilancio, ma solo il rispetto di una diversa logica nell’allocazione delle risorse finanziarie. Una logica che è insita nei principi». Le Corti, del resto, in questi tempi di risorse scarse tendono a sindacare le decisioni con le quali i governi vi fanno fronte, ad esempio il modo e i criteri in cui vengono imposti i sacrifici, come di recente in Portogallo.

Per mettere due leggi a confronto con i principi e denunziare la violazione della logica imposta dalla Costituzione nell’allocazione delle risorse, gli strumenti e le tecniche di giudizio alla Corte non mancano. Tanto più che spesso non si tratterà di mettere a confronto con i principi due leggi, ma due norme contenute in disposizioni della medesima legge relativa al bilancio dello Stato. La ragionevolezza è il punto di partenza: muovendo dalla distinzione fra destinazioni di fondi doverose, consentite e vietate, con una sentenza additiva, variamente formulata, oppure sostitutiva, sarà possibile ripristinare il rispetto delle priorità costituzionali, utilizzando diversamente le risorse senza impegnarne di nuove.

Il discorso, meglio approfondito dai costituzionalisti, potrebbe offrire al giudice delle leggi ulteriori argomenti per far rispettare gli obbiettivi e i valori della Costituzione a una politica che va in direzione inversa. La legge, infatti, «vincolata ai fini costituzionalmente imposti», trova in quei fini un vincolo non soltanto negativo ma positivo: oltre a non contraddirli, è tenuta a svolgerli e a realizzarli.

Il testo è un estratto da un saggio molto più ampio pubblicato dalla rivista Costituzionalismo.it che si può leggere in rete.