Avvolto nell’abito scuro del clero sciita, la barba grigio fumo, il turbante bianco dei religiosi che non appartengono alla famiglia del profeta Maometto. Si presenta così il presidente iraniano Hassan Rohani all’Assemblea generale delle Nazioni unite. Non degna di uno sguardo la signora che lo accompagna al podio dove terrà il suo discorso.

In ventitré minuti, non accennerà un sorriso. Attacca «gli Stati uniti e i sionisti per l’occupazione di Gerusalemme e delle alture del Golan», ricorda le vittime palestinesi e il ruolo decisivo di Teheran che collabora con la Russia e la Turchia in Siria e Yemen.

Passa a parlare della «resistenza iraniana al feroce terrorismo economico inflitto da Washington, della difesa del diritto all’indipendenza e allo sviluppo scientifico e tecnologico, laddove il governo statunitense impone sanzioni extraterritoriali e minaccia altre nazioni, cercando di privare l’Iran dei vantaggi della partecipazione all’economia globale, manipolando il sistema bancario internazionale».

Gli iraniani – dice Rohani – «sono pionieri dei movimenti che cercano la libertà, non si sono mai arresi». Come l’Imam Hossein, figura chiave dell’Islam sciita: nipote del profeta Maometto, nel 680 d.C. si era sacrificato nella piana di Kerbala. Dimenticando che in Iran tanti portano avanti la loro battaglia per maggiori diritti, pagando un prezzo troppo alto. Aggiunge che il suo paese ha sempre cercato «pace e progresso per sé e per i propri vicini e non si è mai arreso a imposizioni straniere».

In merito al trattato sul nucleare firmato dopo lunghe ed estenuanti trattative nel luglio 2015 dall’Iran, dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dalla Germania, Rohani ricorda come l’Iran ne abbia rispettato i termini.

A tirarsi indietro è stato invece il presidente statunitense Donald Trump, che non ha tenuto fede agli impegni presi dal suo predecessore, mentre «l’Ue è incapace di farvi fronte». Ora, ha detto Rohani a New York, «ci hanno proposto di negoziare, ma la nostra pazienza ha un limite. Non negozieremo con un nemico che ci vuole mettere in ginocchio. I negoziati ci saranno solo se finiranno le sanzioni».

Di questi tempi, la politica iraniana sembra prendere a piene mani dal manuale cinese L’arte della guerra del IV secolo a.C. in cui Sun Tzu invitava il comandante a adoperarsi «per sciogliere alleanze a te contrarie». Ed è su questo che Rohani insiste, proponendo ai paesi dell’area Golfo di lasciare perdere gli Stati uniti, incapaci di difenderli, per costituire l’alleanza regionale Coalizione per la pace perché «una scintilla può provocare un incendio. Dobbiamo investire in un futuro migliore anziché in guerra e violenza».

E ancora, nel manuale cinese si legge: «Se qualcuno osasse chiedere come ci si debba comportare quando il nemico, in vantaggio numerico e in assetto compatto, si appresta ad avanzare, risponderei che la prima cosa da fare è impadronirsi di ciò a cui egli maggiormente tiene e, a quel punto, dettare le condizioni».

Ciò a cui tengono maggiormente i sauditi e i loro alleati sono le risorse energetiche. Ed è per questo che lo scorso 14 settembre sono state prese di mira le installazioni petrolifere saudite. Non sappiamo se si sia trattato di una strategia dei pasdaran, gli ayatollah di Teheran negano qualsivoglia coinvolgimento.

Fatto sta che, come da manuale, il nemico saudita è stato sorpreso e raggiunto «da direzioni che non si aspetta» ed è stato attaccato «quando non è pronto».

Sempre per colpire nel vivo, i pasdaran non hanno ancora permesso che riprenda il mare la petroliera Stena Impero, di proprietà svedese e battente bandiera britannica, trattenuta dal 19 luglio dopo che i Royal Marines britannici avevano fatto altrettanto con una petroliera iraniana a Gibilterra, rilasciata il 15 agosto.

In ogni caso Sun Tzu scriveva: «Si muova l’esercito solo se la guerra è la via più adatta a perseguire i propri interessi, altrimenti si pazienti». Ed è la via della pazienza quella perseguita dalla diplomazia iraniana.

Lasciando il palco, Rohani stringe la mano al segretario generale delle Nazioni unite ma non alla signora accanto a lui. Nel pieno rispetto delle regole della Repubblica islamica, per non rischiare di essere criticato dai falchi, al suo ritorno a Teheran. Anche il presidente statunitense Donald Trump vorrebbe una foto stringendo la mano a Rohani, ma non gli viene concesso: dovrà aspettare, perché quello è «l’ultimo passo, non il primo».