Del quadro della situazione nella regione mediorientale, delle recenti intese tra il Vaticano e lo Stato di Palestina e del ruolo dei cristiani, ieri non si è discusso solo a Roma, durante l’incontro tra papa Francesco e il presidente dell’Anp Abu Mazen, in occasione della canonizzazione di due suore palestinesi. Una parte del mondo cattolico si interroga proprio in questi giorni, nei Territori occupati, sulle strade da percorrere per arrivare a una soluzione per i palestinesi fondata sulla giustizia e la legalità internazionale. A Betlemme è in corso la conferenza annuale di Pax Christi International, con 150 delegati provenienti da ogni parte del mondo, anche dall’Italia. Il movimento, che quest’anno celebra i suoi 70 anni, da lungo tempo interviene a sostegno dei diritti dei palestinesi, sulla situazione di Gaza, sui detenuti politici, rinnovando allo stesso tempo il suo impegno per la riconciliazione tra le parti in conflitto. «Il nostro movimento è attivo sin dalle sue origini sul tema della riconciliazione e ha cominciato, 70 anni fa, con quella tra francesi e tedeschi – spiega al manifesto Paul Lansu, il “consigliere politico” di Pax Christi -, tuttavia pensiamo che una soluzione di un conflitto non possa avvenire senza la realizzazione della giustizia e del diritto, quindi anche in Palestina. E riteniamo che i cattolici debbano essere parte attiva di questo processo. Ad ogni occasione, in Europa, negli Stati Uniti e ovunque siamo presenti nel mondo, spieghiamo che i palestinesi non sono soltanto musulmani ma anche cristiani e che insieme sono protagonisti nella loro terra».

 

La scelta di Pax Christi di tenere nei Territori palestinesi occupati la sua conferenza annuale è stata segnata dalla decisione delle autorità israeliane di impedire l’ingresso in Cisgiordania al segretario generale del movimento, Josè Henriquez, proveniente dalla Giordania. Una decisione che, ha raccontato da Amman Henriquez, i responsabili israeliani non hanno motivato. «Sto vivendo questa esperienza in piena solidarietà con il popolo palestinese. Ciò che è capitato a me è solo una minima parte di quello che (i palestinesi) vivono quando non riescono ad avere accesso a Gerusalemme per le cure mediche, per la riunificazione dei nuclei familiari e anche per le celebrazioni religiose».

 

Nella conferenza stampa tenuta ieri, i rappresentanti di Pax Christi hanno descritto il loro impegno, anche presso le istituzioni ufficiali, per una maggiore comprensione dell’importanza della applicazione del diritto e delle risoluzioni internazionali sulla Palestina. «Gaza e la fine del blocco (israeliano) sono un’altra parte fondamentale del nostro impegno – aggiunge Paul Lansu –, riteniamo che debba essere dato subito pieno acceso agli aiuti umanitari e ai materiali per la ricostruzione (della Striscia). Sappiamo che certe dinamiche politiche palestinesi, come lo scontro tra il partito Fatah e il movimento islamico Hamas, hanno un impatto negativo ma ciò non toglie nulla ai diritti dei palestinesi. Il blocco di Gaza deve terminare per consentire ai palestinesi di avere finalmente una vita».