Più di metà anno è passato ormai, con differenze da nazione a nazione, dall’inizio del lockdown o dalla dichiarazione di stato di emergenza mondiale, sei mesi che sembrano una vita intera. Le paure e il costante flusso di notizie in continuo mutamento, rende molto difficile scorgere una via d’uscita o solo immaginare un futuro diverso dal presente in cui tutto il pianeta è immerso come in un’apnea. A fine agosto è uscito in Giappone un film a episodi che riflette proprio su questa serie di eventi e sullo stato di emergenza dichiarato in Giappone lo scorso aprile. Nell’arcipelago non è mai stato imposto un lockdown, ma una sorta di disciplina volontaria, anche se le pressioni sociali funzionano spesso come delle catene e delle leggi esse stesse. Durante questo periodo in cui parte del paese si è fermato, alcuni registi hanno preso la videocamera in mano e con essa hanno provato a riflettere sul significato della pandemia per la civiltà, ma anche a vedere come la situazione poteva essere sfruttata per creare qualcosa di diverso dal solito. Kinkyu jitai sengen (Stato di emergenza) è un film originale distribuito per ora da Amazon Giappone sulla sua piattaforma streaming, un lavoro che come spesso accade per questo genere di opere è di qualità e contenuti assai variabili.

SONO CINQUE i segmenti di cui si compone il lungometraggio, ognuno di circa 30 o 35 minuti, escluso l’ultimo, ed aperto da una brevissima animazione creata da Mirai Mizue e Sawako Kabuki, un’eccellente fantasia surreale che re-immagina in pochi secondi la diffusione del virus. Il primo episodio, Delivery 2020, firmato da Ryota Nakano, è una toccante rappresentazione delle solitudini e dei cambiamenti che il Covid-19 ha determinato all’interno di una famiglia, con madre e figli che vivono in città diverse. Interessante notare come in questi ultimi mesi sia ormai entrata nella grammatica cinematografica l’abitudine di dividere lo schermo in riquadri e imitare quindi la forma della comunicazione via Zoom o Skype.
Sion Sono crea, scrive, filma e dirige il secondo segmento, The Solitude of 19:00. È questo senza dubbio l’episodio migliore, una commedia sarcastica dall’humour nero ambientata nel 2056 quando il Covid-19 non c’è più, ma a questo è subentrato un virus molto più contagioso e mortale «il virus dei cento anni» che richiede una distanza sociale di 50 metri. Irriverente Sono riesce a cogliere nel segno domandandosi se una vita tutta in solitudine ed estrema sicurezza sia degna di essere vissuta.

INVENTIVO, con colpi di scena inaspettati e graziato da un’ottima fotografia, da una buona prova d’attore di Takumi Saito, e da un’idea di fondo che funziona, questo corto conferma tutta la genialità del regista giapponese.
Completamente fuori luogo e da buttare il terzo episodio, DEEPMURO, imbarazzante per idee e resa, mentre meglio va con il penultimo segmento, diretto da Satoshi Miki. Regista conosciuto per la sua vena ironica e la sua comicità surreale, anche qui non si smentisce e in Bottle Mail offre un ritratto di una giovane attrice disoccupata ed alle prese con la pandemia che trova lavoro in un film, ma qui non tutto è quel che sembra. Assieme all’episodio di Sono brilla anche l’ultimo, che è anche il più lungo (64’) MAYDAY, una collezione di video mandati al regista Mariko Tetsuya (Destruction Babies) da suoi amici e conoscenti da 14 diversi paesi durante il periodo di lockdown. Girati tutti in maggio, si tratta di piccole finestre aperte sulla nuova quotidianità di persone di nazionalità e di età varie, alle prese con nuovi problemi, piccoli e grandi.

matteo.boscarol@gmail.com