Devastati dal fuoco paesaggi di struggente bellezza ed asprezza, dominati da dirupi, selve di faggi e frassini, luoghi modellati dalla roccia che talvolta si trasforma in grotte che, nel corso della storia, hanno accolto e ospitato briganti, santi, pastori e partigiani. Un territorio difficile e, per questo, caratterizzato dagli eremi che hanno riempito, di fede, la solitudine della Majella, in un rapporto primitivo con la natura.

Luoghi di preghiera e meditazione, circondati da un ambiente vivo e per lo più incontaminato. La maggior parte degli eremi sono collegati tra di loro dal «Sentiero dello spirito», un lungo itinerario – 70 chilometri circa – studiato per far ammirare questi posti senza mai dover lasciare il Parco nazionale. È qui che fra’ Pietro Angelerio o da Morrone visse prima di diventare Papa nel 1294 con il nome di Celestino V.

Giunto in Abruzzo tra il 1239 ed il 1241, il frate di stabilì sulle pendici del Morrone facendovi successivamente realizzare una prima chiesetta.

Frequenti poi furono i suoi ritorni sul Morrone dove dispose la costruzione di un vero e proprio eremo, su un luogo scosceso e di difficile accesso che guardava verso la conca di Sulmona e che si prestava una esistenza ascetica ma anche all’accoglienza dei pellegrini che numerosi raggiungevano la montagna richiamati dalle virtù del futuro santo.

Nel 1294, il re di Napoli, Carlo II d’Angiò, subito dopo il conclave che sancì, dopo ben ventisette mesi di sede vacante, l’elezione di Pietro Angelerio a Papa, giunse sul Morrone per annunziare l’elezione all’eremita e per condurlo a L’Aquila per l’incoronazione nella basilica di Collemaggio.

Celestino V, che restò sul soglio pontificio per soli quattro mesi, tornò all’eremo morronese nel 1295, in fuga dopo aver rinunziato al papato, perché ricercato dal nuovo pontefice Bonifacio VIII.