È sincero il sorriso che campeggia sul viso di Matteo Renzi. Certo, quando assicura che l’accordo dimostra che la Ue non è affatto agli ordini di un Paese solo, viene da sgranare gli occhi e chiedersi se c’è o ci fa. Quando dice che «non c’è nessun derby Merkel-Tsipras» il solo problema essendo che «la Grecia deve fare le riforme», si può stare certi che ci fa. Quando assicura che «nessuno voleva la caduta del governo greco», nemmeno vale la pena di starlo a sentire. Ma il sollievo, quello è vero. E quando il premier italiano dice che nella notte per due volte si è rischiato il botto finale, ha la faccia di chi i brividi lungo la schiena li ha sentiti correre davvero.

E’ stata una notte da incubo per Renzi e forse ancora di più per la squadra del Tesoro. Una cosa è raccontare al volgo che la Grexit non sarebbe un gran problema, che «i fondamentali sono a posto» e quindi comunque poco male per l’Italia. Tutt’altra trovarsi di fronte lo spettro della cacciata di Atene dalla moneta unica. Per l’Italia sarebbe stato un disastro. Per il governo e per il suo capo peggio. In fin dei conti è andata bene, nonostante tutto.

Per la verità, di lati oscuri nel dramma di Bruxelles e nel suo esito ce ne sono a mazzi. Prima di tutto la totale assenza di qualsiasi ruolo italiano: un irrilevanza con pochi precedenti. Al confronto, Silvio Berlusconi era un protagonista di primissima grandezza. Nei quattro vertici a quattro che si sono susseguiti nella notte più lunga, l’Italia non è stata mai invitata e pochissimo consultata. Renzi si è effettivamente schierato contro i superfalchi, ma ha potuto farlo solo quando Hollande ha imboccato quella strada, ondeggiando dunque tra l’ombra di Berlino e quella di Parigi. Anche se le smentite di prammatica sono ovviamente piovute, lo scontro diretto con il premier olandese Rutte, pasdaran rigorista, sembra ci sia stato davvero. Ma se qualcuno con passaporto italico ha davvero fronteggiato i duri, quello non è stato Renzi: è stato Mario Draghi.

Il ruolo dell’Italia esce da questa vicenda ulteriormente sminuito, il che non fa certo piacere all’inquilino di palazzo Chigi. Ma il vero cruccio, la paura principale, è la mazzata presa dall’Europa. L’ottimismo è di ordinanza, anche se qualcuno, come Gennaro Migliore strafa e applaude il «capolavoro politico». Il presidente della Repubblica in carica, Sergio Mattarella, e il predecessore, re Giorgio, si entusiasmano. Ma le valutazioni reali sono diverse: non a caso a rivelarle sono europeisti al di sopra di ogni sospetto. Come Romano Prodi: che della moneta unica è uno dei padri storici: «Si è evitato il peggio ma non il male: una Grecia umiliata, un’Europa incapace di iniziativa, leadership e solidarietà. La Grecia è devastata e l’Europa di oggi, se non cambia, non potrà preparare l’Europa di domani».

L’ex ministro del Tesoro Vincenzo Visco, altro uomo chiave negli anni ruggenti dell’euro, è più drastico: «La verità è che con questo accordo, a meno di un cambio di rotta, sono state poste le basi materiali e politiche della fine della moneta unica». Per il Pd, come per tutte le forze di centrosinistra europee, una crisi dell’Europa, anche solo in termini politici e di popolarità, è devastante. «La verità – spiega un dirigente del Pd passato al renzismo dopo aver a lungo sostenuto Massimo D’Alema – è che l’Europa regge sempre meno. E noi sull’Europa abbiamo scommesso tutto».

Infine il fronte interno, che sin dall’annuncio del referendum è stato per Renzi uno degli aspetti fondamentali della vicenda. La sconfitta di Tsipras non gli dispiace affatto. Nei suoi calcoli ha sempre pensato che un successo dell’azzardo greco avrebbe rafforzato i nemici italiani dell’euro, che guarda caso sono anche i suoi più temibili rivali: l’M5S e la Lega. Ma la disfatta è un’altra cosa, e l’umiliazione imposta dalla Germania alla Grecia rischia di rivelarsi controproducente. Da ieri nessuno può più fingere che l’Europa sia qualcosa di diverso da un’area controllata dalla Germania e dai suoi più stretti alleati.

Se sul fronte dell’economia le cose andranno bene, non sarà un esagerato cruccio. In caso contrario, il risentimento per l’esercizio di arroganza di Berlino, latente sotto pelle, si abbatterà su palazzo Chigi.