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Paura e rabbia a Shatila: «Non staremo a guardare»

Beirut, manifestazione nell’anniversario del massacro di Sabra e ShatilaBeirut, manifestazione nell’anniversario del massacro di Sabra e Shatila – Wael Hamzeh/Ansa

Sabra e Shatila 42 anni dopo Dal campo profughi: «Un nuovo livello della guerra psicologica di Israele. Il piano è farci impazzire di paura»

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

Il volto di Dima è pallido e la voce, a distanza di ore, le trema ancora, così come le mani, mentre versa il tè nella sua casa nel campo profughi di Shatila. Martedì 17 settembre stava rientrando dal lavoro nel quartiere di Dahieh, nella periferia a sud di Beirut, a circa un chilometro dal campo, quando attorno a lei è scoppiato il caos. A malapena, racconta la ventenne palestinese, le sirene dei mezzi di soccorso riuscivano a coprire le grida attorno. «Di fronte a me c’era un uomo, non riuscivo a individuarne il volto perché era completamente ricoperto di sangue. Ho pensato: ecco, ci siamo».

Quel giorno Israele ha detonato migliaia di cercapersone, precedentemente manomessi, che appartenevano ad affiliati ad Hezbollah, in tutto il Libano e in Siria. Almeno dodici morti secondo il Ministero della sanità libanese, di cui due bambini e migliaia di feriti tra i combattenti e i funzionari del partito sciita libanese. Soprattutto civili, dal momento che le esplosioni dei dispositivi sono avvenute spesso in aree densamente frequentate.
La stavano aspettando, dicono all’unisono dal campo di Shatila, ma ora la guerra arriva davvero. E in effetti, la minaccia di un nuovo conflitto esteso a tutto il Libano sembra stia bussando alla porta con una veemenza sempre maggiore. Il 18 settembre una nuova ondata di esplosioni, questa volta dei walkie talkie e di altri dispositivi come i pannelli solari, ha seminato ulteriore panico tra la popolazione libanese. Il bilancio è ancora una volta pesante, con 14 vittime e 450 feriti.

A Shatila, nel frattempo, ci si prepara per l’atteso discorso del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, previsto nelle ore successive all’attacco israeliano e che, anche questa volta, viene annunciato con scariche di mitra sparate in aria. Sono i bambini che si rincorrono tra i vicoli del campo profughi ad accorgersi, per la prima volta dopo molti anni, degli aerei da guerra israeliani che volano sopra le loro teste. Da lì a poco avrebbero diffuso il terrore tra gli abitanti con il lancio di una serie di “sonic booms”, gli assordanti boati causati dalla rottura della barriera del suono.
«Non è la prima volta che gli aerei da guerra israeliani scatenano questi rumori, ma non sono mai stati così potenti», racconta un residente del campo. «Questo è un nuovo livello della guerra psicologica di Israele contro di noi e adesso le persone temono di utilizzare i propri dispositivi elettronici. Il loro piano è farci impazzire di paura per indebolirci da dentro».
Il giorno successivo, un nuovo raid israeliano a distanza di due mesi da quello che ha causato la morte del numero due dell’ala militare di Hezbollah, Fouad Shukr. Un intero complesso residenziale è stato demolito, causando 13 morti.

Sembrano concretizzarsi le parole evocate pochi giorni prima, il pomeriggio del 16 settembre, alla manifestazione popolare per il 42esimo anniversario della strage di Sabra e Shatila. In centinaia si sono radunati in quella che viene chiamata la “Piazza del popolo”, nel cuore del campo, dove precedentemente era stata allestita una mostra fotografica con le testimonianze del massacro, affinché la memoria di quei giorni rimanga indelebile anche nelle generazioni che non l’hanno vissuto.
Il corteo ha poi marciato tra le strette vie del campo, attraversando i quartieri limitrofi fino al monumento dedicato alle vittime della strage, che sorge al di sopra dell’enorme fossa comune dove sono seppelliti migliaia di palestinesi fatti a pezzi e uccisi dai falangisti libanesi, aiutati dall’esercito israeliano.

In caso di una nuova invasione israeliana non saranno spettatori passivi, hanno ribadito a più riprese i palestinesi, mentre ricordavano il massacro dell’82 ma soprattutto quello in corso a Gaza. «Ritrovarsi è stato importante ma c’è ancora molto lavoro da fare», ha sottolineato Abu Moujahed, il fondatore del Palestinian Youth Center, tra i principali promotori della manifestazione. «Quello che conta è stata la grande presenza dei bambini. Forse non hanno ancora gli strumenti per comprendere quello che è successo ieri e cosa sta accadendo oggi, ma stiamo piantando i semi affinché lo capiscano domani».
Più sbrigativa è stata invece la consueta commemorazione ufficiale di venerdì 19, alla presenza delle autorità libanesi, alla quale ha partecipato come ogni anno la delegazione italiana del Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila. «La tensione degli ultimi eventi si è percepita in maniera molto forte durante la commemorazione e in misura ancora maggiore durante le nostre visite nei campi», spiega Flavio Novara, presidente del Comitato. L’arrivo della delegazione al campo profughi di Burj el-Shemali, a sud-est di Tiro, giovedì scorso, è stata accompagnata da una serie di esplosioni. «Alcuni di noi erano spaventati, ma sono stati proprio i residenti, da troppi mesi abituati a tutto questo, a farci coraggio.

Hanno iniziato ad applaudire il nostro pulmino e abbiamo risposto sventolando la bandiera palestinese. Se c’è una cosa che Israele ha ottenuto – conclude Novara – è l’aver ricompattato una fetta importante della stessa società libanese, oltre a quella palestinese. Lo abbiamo visto subito dopo l’attacco israeliano, quando la popolazione si è presentata in massa per donare il sangue, risolvendo in poche ore l’emergenza degli ospedali e, successivamente, con le dichiarazioni di molte forze politiche che hanno ribadito, in modo compatto che se Israele invaderà il loro paese, lo difenderanno con determinazione».

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