Il 5 febbraio scorso le forze speciali della Mayu Operation, cellula della narcotici birmana formata all’inizio del mese, hanno esordito con un sequestro clamoroso.

Secondo la ricostruzione del quotidiano The Irrawaddy, intorno alle sei di sera un monaco buddhista, U Arsara, e un novizio a bordo di un suv Toyota Kluger vengono fermati da una pattuglia della Mayu Operation nei pressi di Maungdaw, cittadina nella parte nord dello stato Rakhine.

DURANTE LA PERQUISIZIONE del veicolo la polizia trova 400mila pillole di metanfetamine e alcune munizioni, prima di farsi portare al monastero buddhista di Shwe Bhao, il luogo di culto gestito da U Arsara.

Nel tempio, le autorità trovano altri 4,6 milioni di pasticche. Fanno un totale di 5 milioni che, secondo il prezzo corrente al mercato nero di meth (2 dollari a pasticca), ammontano a 10 milioni di dollari.

Al di là del titolone telecomandato strano-ma-vero – «Monaco buddhista beccato con 5 milioni di pasticche di meth» – il sequestro operato dalla task force della capitale birmana Naypyidaw è solo l’ultimo di una serie di segnali che indicano un boom della produzione di droghe sintetiche parallelo al percorso di apertura economica intrapreso dal Myanmar con le elezioni del 2015, segnate dalla vittoria straripante della National League for Democracy del premio Nobel Aung San Suu Kyi.
Sostituendosi parzialmente alla tradizionale produzione di oppiacei del Triangolo d’Oro esteso tra Myanmar, Laos e Thailandia, il business delle metanfetamine in Myanmar negli ultimi anni ha registrato un’impennata inedita.

Secondo i dati divulgati dalla polizia birmana, in tutto il 2016 le autorità hanno confiscato 98 milioni di pasticche di meth, quasi raddoppiando il risultato dell’anno precedente, 50 milioni.

LA METANFETAMINA in pasticche, nota in gran parte del sudest asiatico come ya ba, è la versione meno raffinata della più nota crystal meth, molto diffusa negli Stati uniti.
Una droga che, per 2 dollari a pasticca, garantisce un effetto eccitante immediato, sospendendo al contempo le più basilari necessità corporee: quando sei fatto di ya ba non senti la fame e non senti il sonno, due dettagli che in aggiunta a un prezzo bassissimo ne hanno fatto in pochi anni lo stupefacente prediletto nelle baraccopoli di mezza Asia, dalla Cina fino alle Filippine della «guerra al narcotraffico» del presidente Rodrigo Duterte.

A differenza dell’eroina o dell’hashish, che necessitano di una componente base naturale – papavero da oppio e cannabis, rispettivamente – da coltivare in massa sottostando alle leggi dello spazio, del campo, e del tempo, della raccolta, la ya ba si può sintetizzare interamente in laboratorio, basta reperire i componenti chimici dal mercato nero. E in questo il Myanmar è situato in una posizione strategica. In un lungo articolo pubblicato sul giornale online indiano Wion, Daniele Pagani spiega che l’efedrina, componente base per la ya ba, in passato veniva estratta dall’ephedra, un arbusto molto diffuso nelle aree tropicali, e utilizzata come principio attivo di medicinali per la tosse o per il controllo della pressione sanguigna.

Oggi, grazie al progresso tecnologico, viene sintetizzata in laboratorio: «Il procedimento richiede dei laboratori chimici molto grandi che il Myanmar non ha, ma che India e Cina invece hanno in gran quantità» scrive Pagani.

E IL MYANMAR, stretto tra gli stati del nordest indiano e lo Yunnan cinese, è precisamente al centro del traffico illegale di efedrine dell’intera area.
Non si hanno cifre precise, ma è pacifico che negli ultimi anni tonnellate di medicinali per la tosse – sciroppi o pasticche – sono stati contrabbandati in Myanmar attraverso i confini porosi di Mizoram, Manipur e Nagaland da ovest e dello Yunnan da est.

Consegnati periodicamente ai laboratori dei nuovi signori della droga birmani, hanno alimentato la diffusione in tutto il sudest asiatico di questa nuova «droga dei poveri». Secondo il World Drug Report 2016 dello United Nations Office on Drugs and Crime nel 2014, su quasi 110 tonnellate di metanfetamine sequestrate in tutto il mondo, più di 40 sono state requisite nell’est e sudest asiatico, segnando un incremento di oltre il 130 per cento nell’area in soli cinque anni.

LA STAMPA INTERNAZIONALE recentemente ha individuato il Myanmar come primo paese produttore di meth al mondo. Un primato affibbiato un po’ a spanne, in mancanza di dati certi sulla provenienza della ya ba diffusa nella regione, ma che pare verosimile considerando alcune peculiarità della situazione politica birmana.

Nonostante l’arrivo della National League for Democracy al potere e l’entusiasmo globalizzato per la democrazia-in-progress del Myanmar, il territorio dell’ex Birmania è ancora attraversato da conflitti pluridecennali tra l’esercito regolare e una serie di milizie locali indipendentiste su base etnica, il più noto dei quali interessa lo stato Kachin, nel nord del paese.
Molte di queste milizie negli anni hanno utilizzato la produzione e il commercio di droghe come fonte principale per sovvenzionare la lotta armata e se fino a qualche tempo fa l’oppio rappresentava il principale bene di consumo richiesto dal traffico internazionale, ora anche il business dell’indipendentismo sta virando verso il mercato delle metanfetamine.

L’ESEMPIO PIÙ ECLATANTE riguarda lo stato Wa, tecnicamente parte integrante del Myanmar ma di fatto sotto il controllo della United Wa State Army (Uwsa) dal 1989.
L’esercito dei Wa, già costola del Partito comunista birmano, gode del favore di Pechino ed è profondamente influenzato dal vicino cinese, tanto da utilizzare lo yuan come valuta corrente nel proprio territorio e il cinese mandarino come lingua franca.

A differenza degli altri stati insorgenti in Myanmar, la Uwsa, formata da oltre trentamila uomini e ottimamente equipaggiato grazie alla collaborazione di Pechino, è stata in grado di tenere a distanza le incursioni dell’esercito regolare birmano, consolidando una stabilità di fatto in un territorio che sopravvive grazie ai rapporti commerciali con la Repubblica popolare.

Oltre al commercio legale di gomma e minerali, potenziato dal trasferimento di tecnologie incentivato da Pechino, si ritiene che lo stato Wa abbia scalzato il resto della concorrenza nell’area, diventando il principale centro di produzione di ya ba al mondo.

Siamo ancora nel territorio del «si ritiene», considerando la volatilità dei dati a disposizione per fare delle stime sulla produzione di meth locale, ma le autorità degli stati limitrofi sono convinte che lo stato Wa disponga della tecnologia e della manodopera necessaria a soddisfare la crescente domanda mondiale di ya ba.

In un’intervista al quotidiano malese Bernama, il generale thailandese Sommai Kongvisaisuk ha dichiarato: «La maggior parte dei laboratori di anfetamine nell’area si trova nello stato Wa ed è controllata da due gruppi criminali, Yee-Sae e Konug, responsabili della produzione e smercio di meth nel resto del mondo».

Sommai, che rappresenta la Thailandia nella task force antidroga internazionale formata assieme a Laos, Myanmar e Cina, ha spiegato che le pillole di ya ba provenienti dallo stato Wa vengono affidate a dei «middle-man» laotiani, per poi inserirsi nel mercato nero che collega il Laos col resto dei paesi Asean.

Le autorità dello stato Wa, per contro, negano qualsiasi coinvolgimento nella produzione di anfetamine all’interno del proprio territorio, e anzi ritengono che l’etichetta di «organizzazione di narcotrafficanti» affibbiata alla Uwsa dalla Dea statunitense nel 2003 sia un attacco di tipo politico.

Il ministro degli esteri dello stato Wa, Zhao Guoan, in un raro incontro con la stampa internazionale lo scorso anno ha dichiarato a Reuters: «Il problema della ya ba non può essere risolto da una sola regione. Molte droghe entrano dall’estero e invece la gente continua a diffamare lo stato Wa. Non è giusto».