Paura del futuro, diseguaglianze, bassi salari. Un paese dove si vive male, anche dal punto di vista abitativo, più interessato alla delega che a praticare una solidarietà e un’azione diretta. È il ritratto che emerge nel «Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia» realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Di Vittorio-Cgil. Il ceto medio è più fragile, aumenta la povertà relativa che interessa oggi più di 8 milioni di persone. Cresce la diseguaglianza che resta inferiore al Nord rispetto al Sud. Solo il 31% pensa che la situazione economica dell’Italia migliorerà nel prossimo anno (era il 44% nel 2015). appena l’11 per cento crede che la propria situazione personale registrerà un miglioramento (era il 13%). Il lavoro è sempre più instabile ed è difficile migliorare le proprie condizioni: solo il 24% pensa che l’occupazione crescerà (era il 31% nel 2015).

Si parla di politica, ma si ascoltano meno i dibattiti. Non si partecipa troppo alle manifestazioni, ma cresce l’interesse individuale per le notizie sul paese. Il 66% degli interpellati frequenta gli amici almeno una volta a settimana (era il 67% nel 2015), il 18% ha ascoltato un dibattito politico (era il 20% l’anno scorso), il 4% ha partecipato a un’iniziativa politica (5% un anno fa), l’1% ha svolto attività politica gratuita per un partito. Non va meglio sul fronte sociale e dei diritti: il 2% ha partecipato a riunioni in associazioni ambientaliste e per i diritti civili, il 9% in associazioni culturali e ricreative (ma in queste rientrano anche i concerti e le esibizioni sportive e artistiche a scopo benefico). Va meglio per quanto riguarda le attività gratuite in associazioni di volontariato (11%) che si fanno, però, più sporadiche e meno strutturate. È la politica in poltrona, l’italiano in crisi come Napalm51, la sublime maschera inventata da Maurizio Crozza nei panni di un troll di professione.

Il rapporto parla di «fiducia economica» definendola «uno dei motori più importanti della crescita». Nel complesso l’indice scenda da 100 a 76, con il nord-ovest in testa con 97 punti (120 nel 2015), seguito dal nord-est con 88 punti (erano 134), dal centro con 76 punti (86) e dal mezzogiorno con 56 punti (erano 72). La Lombardia (100 punti) guida la graduatoria, seguita dal Veneto (98) e dalla Liguria (92). Questa categoria è intrecciata a quella di fiducia interpersonale. In un paese diffidente, dove torna a farsi sentire, in rete e non solo, la xenofobia ci si fida di più delle persone vicine, non solo fisicamente ma anche socialmente. Questo ripiegamento di classe si salda con la riscoperta del senso dell’autorità identificata con le forze dell’ordine. Resta bassissima la «fiducia incondizionata».

Poco convincente è l’uso di due categorie neoliberali per indicare lo stato della cooperazione sociale e della produzione culturale: «capitale sociale» e «capitale culturale». Con il primo nel rapporto si intende le reti di relazioni socio-politiche che creano partecipazione. La seconda categoria è bifida: indica sia il patrimonio culturale italiano che potrebbe «rappresentare un grande volano di crescita economica». In pratica, la vecchia idea di Confindustria sulla «cultura come petrolio d’Italia». Singolare è la definizione della scuola intesa come un «sistema meritocratico poco premiante dei talenti». Sono giudicate positivamente la crescita delle imprese che si occupano di infrastrutture e si criticano gli investimenti molto bassi in ricerca e sviluppo (circa l’1% del Pil) e le «imprese innovatrici rappresentano appena il 34%». Un’analisi dei tagli all’istruzione e alla ricerca in Italia, unico paese Ocse che li ha praticati negli anni della grande crisi, avrebbe contribuito a una maggiore profondità.

«Emerge la fotografia di un Paese in cui la ricchezza tende sempre di più a concentrarsi» e in cui le persone vedono sempre più difficile uscire da una situazione di difficoltà – sostiene la segretaria Cgil Susanna Camusso – Dare fiducia evitando dumping e diseguaglianze. Sono questi i tratti essenziali dei due referendum Cgil contro voucher e sugli appalti e della Carta dei diritti universali, sui quali oggi, in tante piazze d’Italia, diamo voce ai diritti del lavoro».