Texas orientale, 1870. Le ferite della Guerra civile non si sono ancora rimarginate del tutto mentre già si annuncia un nuovo spargimento di sangue. Nel West la conquista della frontiera si sta compiendo tra stragi di indiani e rappresaglie delle tribù contro le famiglie dei pionieri accorsi a cercare fortuna. L’America è ancora avvolta da una nebbia di violenza e tutti portano su di sé ferite spaventose e talvolta inconfessabili.

IL CAPITANO Jefferson Kyle Kidd è un veterano dell’esercito texano, un reduce della guerra con il Messico che si guadagna da vivere spostandosi da una cittadina all’altra per leggere davanti ad un pubblico pagante notizie tratte dai giornali. Ogni sera, con grande enfasi declama i fatti di cronaca più eclatanti e dà conto dei temi del dibattito politico nazionale ad una piccola folla avida di informazioni e novità che sta costruendo il futuro del Paese lungo un avamposto incerto e selvaggio. Un giorno, un uomo offre a Kidd cinquanta dollari per riportare ai suoi parenti una bambina di una decina d’anni, figlia di coloni tedeschi che era stata rapita e allevata dagli indiani. La piccola si chiama Johanna Leonberger, ma di quel passato non sembra ricordare più niente, veste e parla come i Comanche e i Kiowa con cui è cresciuta. È rimasta orfana due volte, prima dei genitori, uccisi dagli indiani, quindi di questi ultimi, ammazzati dai soldati. A tre settimane di viaggio, nella zona di San Antonio, ci sono però ancora degli zii che vivono in una comunità di contadini e allevatori arrivati dalla Germania.

La scrittrice Paulette Jiles

Inizia così il viaggio tra mille incertezze e pericoli narrato dalla scrittrice Paulette Jiles in Notizie dal mondo (Neri Pozza, pp. 202, euro 18, traduzione di Laura Prandino), da cui il regista Paul Greengrass ha tratto il film omonimo interpretato da Tom Hanks e Helena Zengel disponibile su Netflix. Ad una natura ostile fatta di deserti, tempeste di sabbia e siccità si affianca la minaccia che arriva dall’uomo, in una terra dove il linciaggio di neri e messicani e la tragedia delle «guerre indiane» rendono spesso la sopravvivenza un autentico lusso.

Lungo il percorso non crescerà però solo l’affetto tra l’ex soldato e la bambina, cimentato dal dover affrontare insieme ogni avversità. I due si scoprono a vicenda, indagando nell’altro la propria differenza come la natura meticcia di storie e identità che attraversano quella terra dove ogni confine è stato da sempre imposto con la violenza. La piccola che «non aveva le espressioni o i gesti dei bianchi» che «gesticolavano, si appoggiavano alle cose, muovevano la testa», ma «aveva l’atteggiamento di tutti gli indiani che gli era capitato di vedere, una sorta di immobilità cinetica, eppure era una bambina di dieci anni, con i capelli biondo scuro, gli occhi azzurri e le lentiggini». E il capitano che per trent’anni aveva combattuto prima gli inglesi e quindi i messicani, ma che nella sua vita aveva fatto soprattutto il tipografo e la sera, davanti a un falò, amava immaginare che «se le persone avessero avuto una migliore conoscenza del mondo forse non avrebbero preso le armi e lui, forse, avrebbe potuto diventare un aggregatore di informazioni da posti lontani, e allora il mondo avrebbe potuto essere un posto più pacifico».

Sotto le sembianze di una favola che rinnova anche con una certa dose di ironia il canone del western – per essere accettati in società, spiega il capitano a Johanna, si deve «primo, non fare lo scalpo a nessuno; secondo, non mangiare con le mani; terzo, non ammazzare i polli dei vicini» -, Paulette Jiles costruisce un romanzo che indaga l’identità della frontiera, in un tempo e in luogo che risulteranno decisivi per le sorti dell’America.

Si tratta solo dell’ultimo capitolo di un percorso che la scrittrice e poeta 73enne che vive in un ranch vicino a San Antonio ha costruito nel corso degli ultimi trent’anni tra romanzi dedicati al Texas della Guerra civile, raccolte di versi e storie distopiche che guardano alla fantascienza classica. Figlia di militari, nata in Missouri e cresciuta tra una base e l’altra dell’esercito dove il padre veniva trasferito, Turchia compresa, Jiles ha passato dieci anni in Canada, lavorando alla creazione di radio comunitarie tra le popolazioni autoctone del Quebec e del nord dell’Ontario e studiando l’Ojibwe, la lingua parlata dalle tribù Anishinaabeg. Nelle sue storie come nelle sue poesie si avverte l’eco di mondi attraversati e amati.

COSÌ, RACCONTA LA SCRITTRICE, «l’idea del lavoro del capitano me l’ha data un amico un cui avo leggeva i giornali in spettacoli pubblici nel nord del Texas». Altre informazioni arrivano invece dai 170 volumi conservati a Washington che raccolgono documenti e corrispondenze dagli stati del sud durante la Guerra civile.

Quanto alla vita delle tribù indiane descritta nel libro, e che lei ha condiviso almeno in parte in Canada, Jiles spiega come in fondo assomigliasse a «un vecchio stile di vita», isolato e autosufficiente, forse non troppo lontano da quello dei pionieri che arrivavano in quelle zone. «In questo senso – conclude -, Kidd parla per me e guarda con curiosità e affetto a ciò che non conosce. Quando cambi cultura, sviluppi una sensibilità che chi vive da sempre in quel contesto non possiede. In virtù del fatto che sei un estraneo puoi scoprire qualcosa di quella realtà che chi ci vive immerso da sempre non ha mai visto».