Quasi novanta concerti all’anno, ogni anno, in tutto il mondo, tutti o quasi sold-out. Gli Slayer sono una band inesorabile nei suoni e nella loro dedizione agli show dal vivo. La band californiana è sulle scene da ormai 35 anni e ha visto trasformare la propria musica da espressione giovanile di una comunità ristretta a un fenomeno globale ormai transgenerazionale. È stupefacente pensare che Joko Widodo il presidente dell’Indonesia, il più popoloso paese islamico del mondo dove in molte aree è in vigore la sharia, è un loro fan.
«Come tutte le cose nate dal sottosuolo, ha saputo mettere buone radici». A spiegarlo è Paul Bostaph, batterista della band, un musicista che conosce bene il genere non solo per aver fatto parte degli Slayer in due momenti diversi (dal 1992 al 2001 e dal 2013), ma anche per avere militano in una delle formazioni pioniere del genere, i Forbidden, e in altri due grandi nomi della scena, Exodus e Testament.
SOLO UN RAGAZZINO
Negli anni ’80 era un ragazzino che viveva nella Bay Area, la zona di San Francisco in cui quella che ai tempi sembrava una subcultura divenne un movimento destinato a conquistare il mondo del rock. «Il thrash metal – racconta Bostaph poco prima dell’ultimo concerto milanese degli Slayer (anche questo sold out) – nacque come un matrimonio tra la cosiddetta new wave of British heavy metal, di band come Judas Priest e Iron Maiden, che avevano un suono chitarristico potente e al tempo stesso melodico, e l’energia, la potenza e la trasgressione del punk. Lo definirei uno straordinario scontro automobilistico che ha dato origine a qualcosa di nuovo. Se riascolti per esempio uno dei primi dischi del genere come Bonded by Blood degli Exodus (pubblicato nel 1985, ndr) senti come il suono sia potente, energetico, ma accattivante e coinvolgente allo stesso tempo. Lo stesso vale per le altre band che hanno dato inizio alla scena. Una formula che ha consentito a questa musica di sopravvivere nel tempo». Il cuore di quella scena era proprio la regione di San Francisco.
«Fu nella Bay Area – prosegue – che nacque una vera e propria comunità. Anche gruppi come Metallica o Slayer, che avevano origine nel sud della California, trovarono lì il loro pubblico e la loro base. Era un movimento di musicisti che poi si sono affermati dalla metà degli anni ’80, ma ai tempi non avevano un contratto. C’erano Megadeth, Exodus, Death Angel, Testament. Questa realtà si alimentava con lo scambio di cassette.Un vero e proprio fenomeno underground, cresciuto in un’epoca in cui internet non esisteva».
E ancora: «Queste solide basi hanno creato quello che oggi è diventato un fenomeno internazionale. Finché queste band e le canzoni che hanno fatto verranno suonate dal vivo balls out, con la forza e la grinta con cui sono nate, il genere sopravvivrà».
QUEI PRIMI DEMO
«Ai tempi – ricorda il batterista – ero molto appassionato di Def Leppard, Iron Maiden, Judas Priest. Ma in famiglia avevo un fratello e un cugino che erano nel circuito del commercio delle cassette live e dei demo. Furono loro a portare a casa i primi demo dei Metallica registrati nello storico locale di San Francisco, The Stone. La prima reazione era ’Cos’è questa roba? Suonano così veloce!’. Nessuno dei miei amici o dei musicisti con cui avevo iniziato a suonare erano fan dell’heavy metal. Ma quando ascoltai il primo demo di quelli che poi sarebbero diventati i Testament, e che ai tempi si chiamavano Legacy, fui totalmente convinto che quella era la scena che faceva per me». «Quello che da giovane musicista mi piaceva particolarmente è che potevi salire sul palco con i vestiti di tutti i giorni. In un’epoca in cui chi suonava doveva truccarsi e travestirsi, il thrash ti permetteva di essere te stesso. C’era poi una filosofia derivata dal punk che ti dava la possibilità di suonare e cantare come volevi, senza pretese, senza preconcetti. Dovevi solo avere energia. Questo fu alla base dell’appeal che diede la spinta a tutto, tanto che a San Francisco in locali come The Stone c’era un concerto di una band metal quasi ogni giorno della settimana». Gli Slayer di questa scena divennero ben presto i paladini, il loro album Reign in Blood del 1986, prodotto da Rick Rubin, li consacrò come fenomeno internazionale.
Il quartetto ai tempi era composto dal cantante Tom Araya, dal batterista Dave Lombardo e dai chitarristi Kerry King e Jeff Hanneman. Fu proprio quest’ultimo a portare l’influenza del punk hardcore nel suono del gruppo e a dare alla band quella velocità e quella ferocia che ha finito per ridefinire i limiti estremi della musica rock.
Hanneman è morto nel maggio 2013 per insufficienza epatica dovuta all’abuso di alcol. Una fine tragica in parte causata dai postumi, fisici e psicologici, di una malattia tanto rara quanto invalidante, la fascite necrotizzante, contratta nel 2011, pare a causa del morso di un ragno e che gli aveva impedito di suonare costringendolo a ritirarsi dalle scene. Una delle sue ultime scelte come membro degli Slayer è stata proprio quella di accogliere nuovamente nella line-up Paul Bostaph.
A STRETTO CONTATTO
«Per me era un fratello. Anche negli anni in cui non ho suonato con gli Slayer eravamo sempre in contatto. Amava stare sulle sue e detestava gli aspetti più di routine dei tour: i viaggi, gli spostamenti, le attese. Ma viveva per salire sul palco. Non si faceva mai sfuggire un’occasione per ridere e scherzare. Sembrava che per lui avessero valore solo le cose di cui si poteva ridere. Mi ricordo che un giorno dopo un concerto mi trovai un gruppo di fan che si misero a urlare contro di me ’Paul fai schifo!’. Mi voltai e vidi Jeff che rideva. Aveva organizzato tutto lui. È così che me lo ricordo».
Era lui l’anima punk rock della band. Continua Bostaph: «Quando con gli Slayer decidemmo di registrare un disco-tributo alle band che ci avevano influenzato io e Kerry King iniziammo a provare Burn dei Deep Purple e Gates of Babylon dei Rainbow. Jeff arrivò e sentito quello che suonavamo se ne andò subito. ’Che fin ha fatto Jeff?’. ’Non lo so, se n’è andato!’. Dopo poco lui e Kerry decisero un cambio di direzione e iniziammo a provare Minor Threat, Dead Kennedys, Descendents». Così nacque la raccolta Undisputed Attitude che documenta le radici punk-hardcore del metal più estremo. Nella storia del quartetto ha un ruolo importante anche Rick Rubin che ha scritturato la band per la sua etichetta nel 1985 e l’ha tenuta nei suoi ranghi fino al 2013 quando gli Slayer sono approdati alla Nuclear Blast per cui hanno pubblicato il loro ultimo disco Repentless. «Ho lavorato a stretto contatto con Rubin – dice Bostaph – soprattutto per le session dell’album Diabolus in Musica, uscito nel 1998. Amo lavorare con lui. Ogni volta che lavoro con una persona così io imparo qualcosa. Quando dice qualcosa ha sempre un senso. Ha un approccio istintivo, direi zen al lavoro, capisce il groove giusto e come batterista è facile connettersi con lui. È sicuramente un produttore che ottiene il meglio dai musicisti con cui lavora. Con me è accaduto così». Nessuno avrebbe pensato negli anni ’80 che la subcultura thrash metal sarebbe diventata un fenomeno globale, né che band come Metallica, Megadeth o Slayer sarebbero arrivate a collezionare sold out in giro per il mondo più di trent’anni dopo i loro esordi.
A loro modo sono diventati dei padri nobili per un’intera generazione di musicisti. Il segreto per Bostaph sta nell’energia, il vero obiettivo delle loro esibizioni live e quello che gli spettatori cercano: «Il merito è infatti anche del pubblico. Ai concerti noi portiamo la benzina. Ma è il pubblico ad accendere il fiammifero».