Helen è fuggita da Milwaukee, dal senso di oppressione che ha sempre provato nella casa della coppia di bianchi della classe media che ha adottato sia lei che un altro ragazzo coreano di poco più piccolo. Da New York, dove vive di stenti e dove si è trasformata in «Sorella Affidabilità» per un gruppo di ragazzi difficili dei quali si occupa, proprio lei che non sembra in grado di badare neppure a sé stessa, dovrà però fare ritorno nel Midwest dopo il suicidio del suo fratello-adottivo. Nel tentativo di scoprire le ragioni di quel gesto finirà per comprendere anche qualcosa di sé, seminando nel frattempo di guai e incomprensioni il suo cammino.

Romanzo d’esordio della scrittrice statunitense Patty Yumi Cottrell, costruito almeno in parte a partire dalle vicende drammatiche di cui è stata protagonista la stessa autrice, Scusate il disturbo (66thand2nd, pp. 206, euro 16, traduzione di Sara Reggiani) racconta passo dopo passo, con una lingua nitida e un tono sospeso tra realtà e nonsense, l’indagine condotta da Helen per fare luce su quel tragico mistero e forse un po’ anche sulla sua vita. Il romanzo sarà presentato dall’autrice domani alle 12 nell’ambito del programma della radio del Festivaletteratura di Mantova.

A proposito del suo libro ha parlato di «anti-memoir». Voleva preservare la sua famiglia da un interesse eccessivo dei lettori o evitare che l’approccio al testo fosse troppo legato all’idea di trovarsi di fronte a una «storia vera»?
Volevo giocare con la possibilità che ci si avvicinasse a quanto ho scritto come ad un romanzo, un’opera di finzione, frutto dell’immaginazione. Un’opera del «vuoto», malgrado contenga diversi dettagli della mia vita. Mio fratello si è suicidato, io sono coreana e sono stata adottata da una coppia americana e sono cresciuta nel Midwest. Detto questo, la famiglia del libro non è affatto la mia famiglia.

[do action=”citazione”]Ci sono momenti toccati da qualcosa di magico. È come se ci fosse una frattura nella realtà che ci permette di vedere lucidamente le cose, anche se per un istante solo[/do]

 

L’esperienza dell’adozione è tradotta nella storia attraverso la ripetizione costante di termini come «genitori adottivi» e «fratello adottivo» che sembrano segnare una cesura più che un legame all’interno della famiglia.
Questa ripetizione continua ci dice che l’adozione è in realtà una costruzione, non è naturale. E sottolinea tutta la distanza che esiste tra genitori e figli e tra fratello e sorella, come in tutti quei rapporti familiari che consideriamo invece come «naturali». Quando si viene adottati, non si dà mai per scontato il fatto di avere davvero una famiglia. Con l’adozione convive la consapevolezza della fragilità e della vulnerabilità dell’architettura familiare. Che, come struttura, non è del resto per niente solida.

Patty Yumi Cottrell

Helen affronta il suicidio del fratello adottivo come un’indagine poliziesca, cercando di mettere in fila le informazioni come se non fosse in qualche modo parte in causa nella tragedia. Come può riuscirci?
Lei si considera separata dalla famiglia perché pensa di essere stata dimenticata da loro. E crede perciò di non essere coinvolta in quello che è successo. Si mette nei panni di un detective perché le sembra una cosa utile. Quando ci troviamo di fronte a una situazione sconvolgente, spesso vogliamo risolverla. E il distacco mi pare sia una buona caratteristica per un detective. Ad esempio, penso che Jessica Fletcher di Murder, She Wrote – il personaggio protagonista della serie televisiva La signora in giallo interpretato da Angela Lansbury, ndr -, a volte si trovi nei guai proprio perché si fa coinvolgere troppo. È una persona di buon cuore e si fida di chi giudica onesto, anche se quella fiducia sembra sempre essere minata o erosa prima della fine dell’episodio. Ma la visione della realtà di Helen non è lucida e non è affatto una brava investigatrice. È estranea alle persone della sua vita ma pensa di poterle vedere chiaramente, a modo suo. Davvero, non ha idea di cosa stia facendo. La sua indagine è prima di tutto una distrazione dall’orrore di ciò che sta accadendo.

Malgrado descriva una condizione terribile, segnata dalla malattia mentale e dal suicidio, il libro sembra chiudersi quasi con ottimismo come se Helen, capendo finalmente come sono andate le cose, potesse riconciliarsi con sé stessa e ciò che la circonda.
Accade perché alla fine di un mistero, il mistero è risolto! Tutti noi abbiamo momenti nella vita che sono toccati da qualcosa di magico o quasi spirituale. È come se ci fosse una frattura nella realtà e si possano vedere lucidamente le cose, anche se per un istante soltanto. Credo che sia quello che accade alla fine del libro. La realtà di Helen cambia per un attimo e lei sente di aver capito. È vero, in questo c’è un tono di ottimismo.

[do action=”citazione”]Nel dibattito elettorale si parla dei problemi sociali. Ma in America un cambiamento vero può venire solo dal basso, dalle strade[/do]

 

Nel testo, le parole di altri scrittori e scrittrici, da Nabokov a Lispector, si mescolano alle frasi scritte da lei, come se si trattasse di versi che servono a completare una rima. Su che base le ha scelte?
Helen è una spugna e forse anche un po’ un parassita. Assorbe ogni genere di cosa dall’arte, dalla lettura e da altre persone, e usa parole e idee che ha raccolto per dare un senso al suo mondo. Allo stesso modo, volevo riempire il libro di momenti, parole e frasi che mi hanno commosso, che significano qualcosa per me. Così ho scelto quelle parole perché hanno fatto colpo sul mio inconscio, hanno preso posto in una sorta di brodaglia cosmica che porto con me. Come Bitches Brew, il disco di Miles Davis che ho ascoltato una volta. Ma il titolo mi è piaciuto e così l’ho messo nel libro, immaginando come potesse suonare un titolo del genere dentro la storia.

A tratti Helen racconta la New York degli ultimi, dei marginali, dei ragazzi «difficili» di cui si occupa, di chi vive alla giornata. Una situazione che anche a causa della pandemia non ha fatto che peggiorare. La campagna elettorale per le presidenziali si sta occupando anche degli «ultimi»?
No, non sta avvenendo e non credo che nel confronto elettorale ci sia davvero spazio per affrontare le condizioni sociali delle persone che lottano per sopravvivere. Chi si candida alla presidenza parla di questi problemi, ma non è la stessa cosa che cercare di risolverli in maniera concreta. Un cambiamento effettivo della situazione può venire solo dalla «base», dalle strade o a livello locale e non in un gigantesco centro congressi o nei salotti dei canali di allnews come la Cnn.

In questo momento il suo paese è attraversato da una nuova ondata di violenza e di razzismo. Teme che Trump sia rieletto?
Sono cautamente ottimista sul fatto che possa essere sconfitto. Allo stesso tempo, non sarei sorpresa se cercasse in tutti i modi di restare alla Casa Bianca o si rifiutasse di andarsene malgrado la sconfitta.