ll nuovo Patto su immigrazione e asilo della Commissione Europea è una resa all’ideologia di Visegrad e delle destre xenofobe europee.
La solidarietà di cui si parla riguarda i rimpatri: si ipotizza l’obbligo di partecipare alla spesa e alla responsabilità delle espulsioni di chi non ha diritto all’asilo, rinunciando del tutto a costruire un meccanismo di condivisione dell’accoglienza.

Per il resto, non riuscendo a concordare regole minime per l’accesso ai diritti, le famiglie politiche liberali, socialisti-democratici e popolari – accettano di convergere sul fulcro delle posizioni delle destre xenofobe e dei loro governi: la negazione dei diritti. Un’Europa unita, quindi, solo per esternalizzare le frontiere, controlli ed espulsioni.
La rappresentazione è sempre la stessa: l’immigrazione come nemico da cui difendersi, un pericolo contro il quale organizzarsi, anche a costo di cancellare i principi del diritto internazionale ed europeo e quelli delle costituzioni dei Paesi membri.

Ci saremmo aspettati un quadro che lasciava aperta l’idea di implementare regole e politiche giuste ed efficaci, praticabili, basate sui principi a fondamento delle democrazie europee e della stessa Ue. L’introduzione d’ingressi legali e sicuri per lavoro e per protezione, un programma europeo di ricerca e salvataggio e una riforma seria del regolamento Dublino.
Invece siamo di fronte ad una proposta peggiorativa, motivata essenzialmente dalla paura di perdere la faccia (e le elezioni) da parte delle forze democratiche o dall’uso spregiudicato del razzismo per raccogliere consensi da parte delle destre populiste.

Nulla di nuovo dunque. Pur avendo trovato un accordo sul Recovery Fund e su come affrontare le conseguenze economiche della pandemia, si continua a marciare inesorabilmente verso una disgregazione dell’Unione: quando si tratta di diritti e di uguaglianza si preferisce inseguire le destre alla ricerca di improbabili equilibri interni.
L’articolazione della proposta è del tutto contraddittoria, in alcune parti in modo imbarazzante, con misure che concretamente porteranno al risultato opposto a quello dichiarato. C’è un contrasto evidente con le leggi internazionali, in primo luogo la Convenzione di Ginevra e il principio di non refoulement.

La previsione di 5 giorni per l’identificazione degli stranieri alle frontiere e di 12 settimane per chiudere la procedura è del tutto irrealistica e punta a ridurre ancora di più lo spazio del diritto d’asilo in Ue. Come già nel recente passato, i principi e le regole volte a garantire i diritti delle persone in fuga da guerre e persecuzioni, sono sacrificati sull’altare degli interessi politico elettorali.
Stridente, come il rumore delle unghie di chi cerca di arrampicarsi sugli specchi, è la richiesta di «solidarietà» sui rimpatri, in alternativa all’accoglienza. In sintesi: se non vuoi partecipare alla redistribuzione per accogliere le persone che arrivano alle frontiere, dovrai farti carico a spese tue del rimpatrio di chi non ha diritto all’asilo, ospitato comunque per 8 mesi nel Paese di primo approdo. Una soluzione che in realtà genera problemi, producendo probabilmente un effetto opposto: un numero maggiore di movimenti secondari e di irregolari.

Insomma, una proposta che ancora una volta riproduce l’idea della fortezza sotto attacco degli stranieri, nonostante i numeri dicano esattamente il contrario.
L’Europa continua ad essere una delle aree geografiche del mondo meno investite dai flussi straordinari di persone in fuga dalle loro case (su tutto il pianeta sono 80 milioni nel 2019 secondo HCR): dall’inizio dell’anno, secondo Eurostat, sono circa 247mila le richieste d’asilo presentate nell’Ue e 676mila nel 2019. Un nuovo Patto che cerca concretamente di impedire a poche migliaia di persone di chiedere asilo all’UE.
I sovranisti, insieme ai trafficanti, festeggeranno perché i loro interessi e le loro rappresentazioni strumentali vengono di nuovo confermate. Una resa che rischia di essere una vera débâcle.