Nel contratto limato da Di Maio e Salvini «non c’è più nulla che possa preoccupare sull’Euro». La giornata di ieri è iniziata con queste rassicurazioni.

Ammainata la bandiera delle bandiere, spento il reattore nucleare del «momento populista» della politica contemporanea, ora i «barbari» denunciati dall’austerico Financial Times, potrebbero essere riammessi nel consesso di chi porta la cravatta e discute di bilanci insieme ai custodi del verbo della «stabilità» con il fioretto dei decimali. E chiedendo «flessibilità».

Non mancano riferimenti alla «ridiscussione dei Trattati dell’UE e del quadro normativo principale», in particolare alla «politica monetaria unica» a «un appropriato ricorso al deficit», alla «gestione del debito» e «tagli agli sprechi». Ordinaria amministrazione da navigati condottieri di vertici all’Ecofin.

Capitolo Flat tax. C’erano una volta le settimane ruggenti della campagna elettorale. Ora, invece, si discute di una novità: la tassa «piatta» con due aliquote.

Di fatto, il sogno liberista per eccellenza è scomparso, ma l’effetto di redistribuzione verso l’alto delle risorse potrebbe essere lo stesso.

Le aliquote sono al 15% e al 20% per persone fisiche, partite Iva, famiglie (che si avvantaggiano di una deduzione fissa di 3 mila euro) e società. Inizialmente per le imprese era prevista un’aliquota unica al 15%.

Capitolo «Pace Fiscale». Prima si sarebbe detto «condono».

Viste le prime polemiche sarebbe allo studio una proposta rivolta esclusivamente ai soggetti in «comprovata ed eccezionale situazione di difficoltà economica».

In totale, dicono i carioca, l’operazione renderà 35 miliardi il primo anno e 25 il secondo.