Braccio di ferro per la messa in mora dell’accordo di Schengen, finora pilastro dell’Unione europea. In una lettera citata dal giornale conservatore tedesco Die Welt, il vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans (nella foto), firmata anche dal commissario alle Migrazioni Dimitri Avramopoulos, esorta i 28 paesi membri a reintrodurre i controlli di frontiera. Non solo al Brennero, dove l’Austria è già pronta a montare una nuova barriera di recinzione, ma lungo i confini nazionali di sei paesi, con speciale riguardo verso la frontiera meridionale: quella con l’Italia.

Il progetto sponsorizzato da Timmermans (nella foto), olandese di Maastricht – culla del trattato fondante dell’attuale Ue, per ironia della storia – coinvolgerebbe l’Austria, naturalmente, il Belgio, la Danimarca, la Svezia, la Francia e Germania – tutti paesi che hanno già temporaneamente sospeso Schengen per l’emergenza terrorismo e la crisi migranti. Sei paesi che a partire dal 12 maggio, giorno in cui scadrebbero le autorizzazioni comunitarie per il temporeaneo stop alla libera circolazione delle persone e delle merci in ambito Ue, ne farebbero scattare uno nuovo per la durata di sei mesi, fino a novembre.

La lettera di Timmermans e Avramopoulos invita il Consiglio d’Europa a utilizzare come strumento una modifica degli articoli dal 26 al 29 dell’acquis – o codicee – Schengen.

Secondo indiscrezioni giornalistiche che vengono anch’esse da Berlino, dallo Spiegel online, già nel vertice europeo di mercoledì prossimo la proposta sarebbe all’ordine del giorno. Mentre viene ipotizzata anche una riforma di Dublino III in cui l’Italia diventerebbe una sorta di nazione-hotspot. Ma su questa seconda, delicata, questione che riguarda i meccanismi di riallocazione delle quote migranti (già oggi definite sulla base di quattro parametri: Pil, tasso di disoccupazione, popolazione erifugiati accolti negli ultimi tre anni) non risulta che sia stata ancora definita alcuna nuova normativa comunitaria, neanche in bozza.

Il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizére – da mesi il principale oppositore interno alla politica delle porte aperte di Angela Merkel – ha confermato ieri la richiesta del governo di Berlino di un prolungamento dei controlli alle frontiere. Ma l’agenzia di stampa tedesca Dpa registra ancora una opposizione dell’Spd a questi piani di fili spinati e pattuglie ai confini. In particolare il deputato socialdemocratico Uli Grötsch ha definito la messa in mora di Schengen per altri sei mesi da parte dei 6 paesi «una sciocchezza».

Angela Merkel dal canto suo finora ha fatto dichiarazioni ambigue. Per lei la protezione delle frontiere esterne non deve avvenire a spese della libertà di movimento nell’area Schengen. Lo ha detto nel suo messaggio video settimanale, spiegando di volersi impegnare «per poter proteggere i nostri confini esterni, in modo da poter mantenere il nostro spazio di libertà di viaggio e movimento».

Rivolgendosi ai suoi concittadini, la Merkel si è interrogata: «Quanto devo occuparmi del mio Paese? Quanto devo partecipare alla solidarietà europea?», segnalando qual è davvero il problema. La questione è se l’Ue intende rafforzare l’Europa e proteggere l’area Schengen, ha proseguito la cancelliera, «oppure tornare indietro, con ogni Stato che effettua i propri controlli al confine». I singoli Paesi, ha proseguito, devono ovviamente mantenere la loro sovranità, ma allo stesso tempo dobbiamo «agire assieme».

Christopher Hein, portavoce e consigliere strategico del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati, si dice «molto preoccupato e avvilito per il gioco che si sta facendo sulla pelle dei migranti e sacrificando l’idea stessa di Europa». Secondo Hein non esiste alcun appiglio giuridico per reintrodurre i controlli alle frontiere dei sei paesi, né «di emergenza grave» né di «ordine pubblico».

Fa notare che gli unici due terroristi delle stragi belga e francesi camuffati da migranti avevano in realtà regolari passaporti, «non erano dunque né migranti né rifugiati». E infatti se la proroga dello stop a Schengen venisse ufficializzata dalla Commissione non sarebbe, questa volta, per un allarme terrorismo.

Per Hein tutto parte da una valutazione politica dei centristi tedeschi, per cui andando dietro alle sirene dell’estrema destra xenofoba si riuscirebbe a depotenziarne il suo peso nel secondo turno delle elezioni in Austria e magari in Germania ridurre l’ascesa dell’Afd. «Questa idea – dice Hein- si è sempre dimostrata del tutto sbagliata».