L’Open Arms è sotto sequestro preventivo a Porto Empedocle. Il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, martedì ha liberato equipaggio e naufraghi facendo scattare una seconda inchiesta, ancora contro ignoti: nel primo fascicolo si indaga per sequestro di persona e violenza privata (in base alle denunce della stessa ong catalana), nel secondo per omissione e rifiuto di atti d’ufficio. Nel decreto emesso martedì si legge il racconto dei 19 giorni passati dai naufraghi bloccati sull’Open Arms, senza un porto di sbarco.

A PATRONAGGIO è bastata un’ora di ispezione a bordo per ordinare l’evacuazione della nave. Il sequestro, del resto, è stato disposto «per evitare che il reato sia portato a ulteriori conseguenze». I magistrati ora procederanno a ricostruire la catena di comando per risalire a chi ha impedito lo sbarco dei profughi. Farli scendere è stata una priorità perché «le persone si trovavano in condizioni psicologiche assai critiche – come si legge nel provvedimento – con pericolo per l’incolumità dei migranti, dell’equipaggio e delle forze di polizia che vigilano sulla sicurezza in mare». L’autorizzazione a entrare in acque territoriali era arrivata il 14 agosto, grazie al Tar del Lazio che aveva annullato il divieto disposto dal Viminale il primo agosto. Per una settimana la nave è rimasta alla fonda a un miglio dalla costa, soffrendo anche il mare in tempesta, perché il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha continuato a porre il veto allo sbarco.

COSA HA SIGNIFICATO lo racconta il dispositivo: rimanere nelle immediate vicinanze del porto ha protratto «gli effetti del reato» e potrebbe persino averne provocato un aggravamento. E ancora: «Il permanente status quo – scrive Patronaggio – può solo aggravare gli effetti pregiudizievoli sulla salute psichica e fisica delle persone a bordo, comportando rischi per l’incolumità degli stessi». Perciò le autorità competenti avrebbero dovuto intervenire «attivandosi nell’emissione di provvedimenti improcrastinabili e doverosi» e, invece, avrebbero avuto un «comportamento omissivo». Una condotta, per altro, difficilmente giustificabile a causa «dell’evidenza della situazione emergenziale in atto, che ha portato diversi migranti a gettarsi in mare, mettendo a rischio la propria incolumità e quella degli operatori, circostanze ben note alle autorità competenti».

È ANCORA IL DECRETO a spiegare come l’ostinazione delle autorità (inevitabile pensare al Viminale) abbia prodotto la crisi: «La situazione, venutasi a creare in seguito alla mancata assegnazione del porto di sbarco, anche in seguito al provvedimento del Tar del Lazio, ha determinato uno stato di esasperazione in capo ai soggetti rimasti a bordo, che ha determinato situazioni sanitarie assai critiche sul piano fisico e psichico». I naufraghi non sono le sole vittime: «In pessime condizioni» era anche l’equipaggio, sottoposto a «un forte stress».

GIÀ IL 15 AGOSTO l’ispezione della Guardia di finanza e della Capitaneria di porto (con il personale medico Cisom) aveva attestato condizioni «pessime», nonché la presenza di naufraghi affetti da diverse patologie. Eppure il divieto di sbarco non è stato annullato e l’evacuazione dei malati è andata avanti con il contagocce.

UN DOSSIER FOTOGRAFICO trasmesso il 17 agosto dalla Squadra mobile di Agrigento racconta la vita a bordo: sono 19 immagini degli ambienti della nave, che restituiscono «nella loro immediata crudezza l’evidente sovraffollamento e le pessime condizioni» generali. Un nuovo verbale medico, ancora del 17, «dava atto che i migranti occupavano interamente il ponte adagiati sul pavimento, avevano a disposizione due soli bagni alla turca (che utilizzavano anche come docce) e apparivano provati fisicamente e psicologicamente».

IL VICECAPO DI GABINETTO del Viminale lunedì scorso ha comunicato al Centro di coordinamento di Roma il perdurare del divieto di sbarco, firmato il primo agosto. L’ultima ispezione, quella di martedì al seguito di Patronaggio, è stata condotta anche da una psicologa. In mattinata in 15 si erano tuffati in mare, disperati, cercando di raggiungere Lampedusa a nuoto: «Le funzioni psichiche sono sollecitate da condizioni emozionali estreme – si legge nella relazione -. La percezione di morte rispetto all’eventuale rimpatrio e la speranza di vita, anche affrontando a nuoto lo specchio di mare, non lascia più possibilità di valutazione del rischio. Né, da parte di terzi, la possibilità di arginare situazioni psicopatologiche di dissociazione nevrotica o psicotica».
Patronaggio, infine, ricorda: «L’obbligo di salvare vite in mare costituisce un dovere degli stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare».