Se nello scontro con i catalani il governo spagnolo intendeva cercare consenso attraverso un bagno di folla, non deve essere rimasto particolarmente soddisfatto. Perché dalle manifestazioni organizzate giusto alla vigilia del tanto contestato voto per l’indipendenza di Barcellona, sono uscite piuttosto, e con una sinistra enfasi, tutte le ombre che ancora gravano sul nazionalismo spagnolo. Di oppositori, la strada intrapresa dalla Generalitat de Catalunya, sembra contarne molti nell’intero paese, ma quelli che hanno deciso di metterci la faccia non sembrano né i più presentabili né quelli meglio intenzonati. Le immagini delle piazze contro il referendum raccontano infatti soprattutto di una destra che fatica a scrollarsi di dosso i pesanti fantasmi del passato.

Così a Madrid, dove la partecipazione è stata più consistente, secondo alcune fonti fino a 10mila persone si sono notate molte bandiere «pre-costituzionali», come in Spagna sono definiti i simboli che si rifanno al regime franchista.

Nella piazza di Cibeles, di fronte al municipio madrileno, la folla ha scandito slogan contro gli indipendentisti catalani ma anche contro il presunto immobilismo del premier Mariano Rajoy.

Altri, sventolando le bandiere con l’aquila di San Juan, simbolo della dittatura rimosso dopo il 1975, si sono spinti fino a intonare Cara al Sol, l’inno falangista, e perfino quello della Legione che combatté al fianco dei nazisti. Tra i simboli del passato e i cori di «Viva España», «Puigdemont in prigione» e «Viva la Guardia Civil», a un certo punto ha fatto la sua comparsa anche Esperanza Aguirre, la ex presidente della regione di Madrid e figura di rilievo del Partido Popular locale.

Perché, per quanto lanciato dalla Fondazione Denaes, per la Difesa della Nazione Spagnola, una sigla dietro cui si celano diverse componenti dell’estrema destra iberica, l’appello alle piazze nazionaliste contro i progetti di secessione rimanda a un’immaginario che contraddistingue anche lo stesso partito di governo. La linea dura esibita oggi da Rajoy si inserisce in questo senso in continuità con quella del suo mentore Aznar che oltre vent’anni fa aveva immaginato di liquidare le diverse spinte indipendentiste con un rilancio del nazionalismo spagnolo. Il tutto alimentando, come ha continuato a fare Rajoy, una notevole ambiguità del proprio partito rispetto al passato franchista, con esponenti di primo piano del Pp che ancora siedono nella Fundación Francisco Franco che gestisce la «memoria» ufficiale del dittatore e diversi eletti locali che si oppongono, a partire dalla Galizia da cui proviene lo stesso premier, alla rimozione dei monumenti e della toponomastica ancora ispirati alla dittatura.

Il ritorno della retorica patriottica ha però favorito anche l’attivismo della destra radicale, priva di energie anche per questa evidente concorrenza da parte del Pp, che ha fatto da tempo della lotta ai movimenti indipendentisti una delle proprie principali caratteristiche.

Così, se nella manifestazione di Madrid la componente dell’elettorato del Pp, per lo più famiglie e persone di mezza età, costeggiava i giovani radicali di destra, altrove gli estremisti erano ancora più visibili. Come nella stessa Barcellona dove all’appello di Denaes, il cui portavoce Santiago Abascal è anche presidente del partito ultranazionalista Vox (che nelle elezioni amministrative del 2015 ha eletto una ventina di consiglieri comunali tra Ceuta, Madrid e i piccoli centri della Castiglia e negli ultimi 40 giorni ha guadagnato un 20% di affiliati), hanno risposto anche i neofalangisti di España 2000 e i neonazisti di Democracia Nacional.