Come già accaduto solo in un’altra occasione, il tribunale del Cairo ha deciso di non comunicare neppure il giorno dopo (ieri) l’esito dell’udienza (tenutasi lunedì) sul caso di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna in custodia cautelare nella famigerata prigione di Tora con l’accusa di propaganda sovversiva su internet. Il ritardo di 48 ore (almeno, se il silenzio verrà interrotto oggi) della comunicazione giudiziaria agli avvocati del giovane ricercatore, arrestato il 7 febbraio 2020, è un’altra forma di violazione dei diritti umani. Un’attesa che «ogni volta aggiunge crudeltà a crudeltà», come dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

D’altronde, solo lunedì il quotidiano web di opposizione egiziano Mada Masr ha dato notizia dell’incriminazione di Hossam Bahgat, direttore esecutivo dell’Eipr (Iniziativa egiziana per i diritti personali), l’ong per cui lavorava Patrick Zaki, con «l’accusa di diffondere false voci su brogli elettorali» nelle consultazioni di un anno fa, e «di aver insultato l’Autorità elettorale nazionale» con «un tweet del 2020». Bahgat, già perseguito dalle autorità giudiziarie cairote negli anni 2015-2016, sarebbe stato fermato, interrogato e rilasciato il 16 giugno scorso.

Ma le denunce di violazioni dei diritti in Egitto non riescono a smuovere l’imbalsamata diplomazia europea. Malgrado, stando a quanto riferito ieri dal portavoce della Commissione Ue, Peter Stano, «la situazione di Patrick Zaki è uno degli argomenti che solleviamo costantemente con i partner egiziani». Durante l’incontro di ieri «tra l’Alto rappresentante Borrell e il ministro degli esteri egiziano, Borrell – ha assicurato Stano – ha ribadito l’importanza per l’Ue del rispetto dei diritti umani in generale e nello specifico ha espresso le preoccupazioni dell’Ue per l’applicazione della pena di morte nel Paese».