La speranza è durata poco, appena 24 ore. Si era aperta un varco domenica: per la prima volta dal 7 marzo scorso Patrick Zaki aveva preso parte all’udienza di fronte al Tribunale penale del Cairo. Così suoi legali, sebbene il tempo per parlarsi si sia ridotto a pochi minuti.

Ieri la doccia fredda: la corte ha rinnovato di 45 giorni la detenzione cautelare del giovane studente egiziano dell’Università di Bologna, arrestato lo scorso 7 febbraio con accuse varie, dalla propaganda sovversiva ai fini di golpe alla diffusione di notizie false.

Sulla base della legge egiziana, i 45 giorni sono “legali”: trascorsi cinque mesi dall’inizio della detenzione cautelare, non è più la Procura che può rinnovarla di 15 giorni in 15 giorni, ma spetta a un giudice decidere. E i tempi si ampliano: ora gli intervalli saranno di un mese e mezzo tra un’udienza e l’altra. Nulla di nuovo sotto il sole di un paese governato da un regime maniacale e tentacolare, che tiene sotto scacco anche la magistratura.

«Dopo quasi 5 mesi di mancata comparizione davanti a un procuratore o a un giudice – ha scritto ieri la pagina Facebook Patrick Libero – speravamo che la sua prima comparizione di persona avrebbe portato a una decisione positiva, ma purtroppo ci siamo sbagliati».

«Il trasferimento di Patrick in tribunale oggi è stato di per sé un buon passo, finalmente i suoi avvocati hanno potuto vederlo, anche se molto brevemente – aveva scritto appena un giorno prima la stessa pagina – Non era stato visto dalla sua famiglia o dai suoi avvocati dopo la sospensione delle visite in carcere». Ovvero dal 9 marzo.

Sospensione che il regime giustifica con le misure di contenimento del Covid-19 nelle carceri, ma che alla luce della pessima igiene e del sovraffollamento delle celle pare solo un’altra punizione per i prigionieri politici.

Tra qualche giorno, però, la famiglia potrebbe visitarlo: lo riferisce all’Ansa una fonte vicina ai genitori, che cita la festa islamica dell’Eid al-Adha come eventuale spiraglio. Almeno è quanto alla madre hanno detto le guardie del supercarcere di Tora, dove va ogni sabato per portare al figlio cibo e disinfettanti.

Ieri il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury ha ribadisce l’appello suo e della famiglia Regeni: il ritiro, almeno temporaneo, dell’ambasciatore italiano dal Cairo e la sospensione della vendita delle due fregate Fincantieri.

Anche molti esponenti dei 5S e del Pd, tra cui lo stesso Zingaretti, hanno protestato per l’estensione della detenzione di Patrick. Ma la maggioranza di governo non intende cedere di un passo: agli affari non si rinuncia.

Da parte sua il governo egiziano continua a fare quel che fa da sette anni. Ieri una corte ha condannato a due anni di prigione e multe da quasi 19mila dollari cinque giovani influencer di Tik Tok. Tutte ragazze, tutte di classi medio-basse, alcune con il velo e altre no, e tutte accusate di aver violato la morale pubblica.

Due di loro, Hossam e Adham, sono in prigione rispettivamente da aprile e maggio: la prima aveva postato un video in cui invitata altre giovani a lavorare con lei, la seconda dei video satirici.

Sono già 12 le ragazze arrestate negli ultimi 4 mesi con accuse simili. Tra loro Menna Abdul Aziz, aveva usato i social per denunciare uno stupro. Anche lei proviene da una famiglia povera, come le altre 11.