Patience Dabany è riuscita a far valere le sue ragioni davanti a un tribunale di Parigi, che nei giorni scorsi ha confermato il divieto, dopo averne bloccato la messa in onda su Planète+ lo scorso settembre, di inserire l’intervista alla ex moglie di Omar Bongo, già padre-padrone del Gabon, nonché madre dell’attuale presidente del Paese, Ali Bongo, nella serie di documentari Despot Housewives. Il suo nome non finirà nella galleria che il regista Joël Soler ha realizzato, ricalcando un analogo formato statunitense, intervistando primedonne vissute al fianco, quando non all’ombra, di mariti che non saranno certo ricordati per i metodi democratici con cui hanno governato.

 

Con Omar Bongo all’inizio degli anni ’60
Con Omar Bongo all’inizio degli anni ’60

 

Senza piantare analoghe grane, prima della ex premièr dame gabonese ci sono “cascate” in tante, da Imelda Marcos a Nexhmije Hoxha, da Lucia Pinochet a Rachele Mussolini. E altre che del resto il buon senso sembra lo abbiano sacrificato sull’altare della patria, il giorno delle nozze. A proposito, Dabany ha solo 15 anni quando nel 1959 viene data in sposa all’uomo che nel 1963 – e per i 42 anni successivi – sarà l’intransigente presidente del Gabon. Chissà se i giudici ne hanno tenuto conto, magari insieme al modo in cui Marie Joséphine Kama, vero nome della donna, dopo il divorzio da Bongo nel 1986 si getta anima e corpo nella sua prima passione (era nata nel 1944 in una famiglia di musicisti), per diventare la diva più amata della canzone gabonese. Patience Dabany, appunto.

Fatto sta che la sentenza del tribunale francese le riconosce anche un indennizzo di 3 mila euro. E stabilisce, cosa ben più importante, che la sua partecipazione al documentario è stata ottenuta dalla casa di produzione Day for Night e dal regista in modo «deliberatamente ingannevole», facendo riferimento a storie di donne che hanno svolto «un ruolo cruciale nella carriera politica, letteraria o scientifica dei propri figli». Altro che «donne del tiranno». Dabany sostiene che nessuno le ha mai svelato il vero titolo della serie e che Soler si è limitato a citare quello dell’episodio che la riguardava, Le Matriarches.

Qui è presumibile che Dabany non abbia trovato nulla da dire: essere moglie e madre di capi di stato, siano essi tiranni o statisti illuminati, non è da tutte. Ma certo mai avrebbe potuto immaginare che il regista del documentario si sarebbe spinto ad azzardare, come sembra e come riporta chi ha avuto la possibilità di vedere il film, un accostamento tra la sua figura a quella di Magda Goebbels, moglie del tristemente celebre ministro di Hitler, che avvelenò i suoi sei figli con il cianuro poco prima della caduta definitiva del Terzo Reich. Bum.

Figurarsi che Patience Dabany l’hanno sempre chiamata Mama, o Maman Gabon. Una carica ufficiale, di “madre della nazione”, che in fondo non ha perso neanche divorziando dal marito dopo 37 anni di matrimonio, stanca dei continui tradimenti. E che certo è tornata a incarnare con convinzione se possibile ancor maggiore da quando il figlio Ali è diventato presidente, all’indomani della morte del padre. Dal quale sembra aver ereditato anche i metodi, oltre al potere che è arrivato in seguito a una vittoria elettorale contestatissima, nel 2009. Melomane anche lui, forse, ma di un genere più mondano-istituzionale, lo ricordiamo quello stesso anno accanto a Giorgio Napolitano per la prima della Carmen alla Scala.

 

Ali Bongo con la moglie alla Scala nel 2009 (LaPresse)
Ali Bongo con la moglie alla Scala nel 2009 (LaPresse)

 

Guai a toccarglielo questo figlio così fortemente predestinato, Alain-Bernard, Ali, l’unico che le è rimasto dopo la scomparsa di Albertine Amissa Bongo nel 1993. Come madre e come politica (ancora oggi è a capo del Partito democratico, il partito da sempre al potere nell’ex colonia francese che dopo l’indipendenza ha dato meno grattacapi di tutte le altre a Parigi), il carattere non le è mai venuto meno. E anche nelle vesti di cantante ha messo in scena tanta personalità, oltre che una voce potente. Sono lì a provarlo una decina di dischi e una manciata di successi che ogni gabonese conosce a memoria, oltre a un modo disinvolto di coniugare rumba e soukouss, ritmi e movenze che il Congo, ancora Zaire, a quei tempi imponeva dolcemente al resto del continente, senza possibilità di appello, Cos’ Dabany all’inizio degli anni ’90 è diventata abbastanza popolare anche nel resto del continente africano, dove la soggezione di fronte a una donna in fin deui conti di poetere non ha mai giocato alcun ruolo. Non esattamente un intellettuale, come l’altro grande vecchio della musica gabonese, Pierre Akendengue, ma sicuramente un’interprete capace di arrivare al cuore di tutti. Che il peggio di sè in termini artistici, o quantomeno il lato più stucchevole della sua produzione, lo ha svelato proprio quando si è messa a cantare l’amore sconfinato per i figli (L’amour d’une mère).

Ora Soler e i produttori del documentario dicono che in seguito alla sentenza della giustizia francese «il progetto si può considerare morto», fanno presente che le domande dell’intervista erano state inviate in anticipo e che c’era persino l’autorizzazione del governo di Libreville a girare il documentario. In sostanza parlano di un «attacco alla libertà di espressione». Del resto un’altra «matriarca» così non la si trova tutti i giorni. Ma  Patience Dabany, mamma per sempre, non sarà la «donna del tiranno». O almeno non più.