In una città blindata, con un imponente schieramento di polizia, ieri trattativa a oltranza per il prezzo del latte nel vertice tra pastori, industriali caseari e Regione Sardegna cominciato alle 16 e coordinato, nel palazzo della prefettura, dal ministro leghista per l’agricoltura Gian Marco Centinaio. A tarda sera la situazione era bloccata sulla proposta di 72 centesimi Iva compresa al litro come acconto per il conferimento del prodotto e un saldo successivo ancorato a una griglia che, considerando l’intervento finanziario di 46 milioni di euro di Regione e stato per togliere dal mercato le forme di pecorino in eccesso, dovrebbe far alzare il prezzo vicino alla soglia richiesta dai pastori: un euro. Poi, alla fine, è arrivata, a risolvere il braccio di ferro, la proposta di tre giorni di tregua nella mobilitazione dei pastori sardi, per non bloccare il conferimento del latte e riprendere a far lavorare i caseifici. Tre giorni nei quali la soluzione messa sul tavolo per avere 72 centesimi oggi e arrivare a fine stagione a un euro, come chiedono gli allevatori, sarà sottoposta al vaglio del mondo delle campagne.

Per tutta la giornata molta tensione davanti al palazzo della prefettura, con una delegazione di pastori che ha seguito per cinque ore la trattativa. Nei giorni scorsi agli allevatori è arrivata una larga solidarietà popolare, con manifestazioni di migliaia di persone che hanno visto scendere in piazza studenti, amministratori locali, commercianti e operai. E ieri anche la Chiesa sarda si è stretta attorno alla battaglia dei pastori per ottenere un prezzo più equo del latte.

L’arcivescovo di Cagliari, Arrigo Miglio, ha fatto visita ai pastori di Mandas, un paese del Campidano. «Ci ha espresso sostegno – scrive il sindaco di Mandas su Facebook – e ha assicurato il suo impegno per favorire e promuovere la produzione e la salvaguardia dei prodotti sardi. Abbiamo colto in lui sollecitudine e premura»

Intanto, la battaglia dei pastori ha superato i confini dell’isola. «La questione del latte, che per la Sardegna rischia di diventare catastrofica, segna il fallimento di una politica fondata sui prezzi bassi e sulla grande produzione di massa». Lo dice il fondatore di Slow Food Carlo Petrini. «Questa mono-produzione intensiva di pecorino romano, che rappresenta il 52% della produzione dei pecorini dop in tutta Europa, non va bene – aggiunge Petrini – Se gli industriali caseari non diversificano i prodotti, si è sotto schiaffo, sia i pastori sia i consumatori». «La rincorsa alla quantità da parte dea caseari porta a mortificare il prezzo. E siamo a un punto di non ritorno». Petrini bacchetta anche i consorzi di tutela e le cooperative di produzione di formaggio che fanno da intermediari tra pastori e caseari. In Sardegna il Consorzio del pecorino romano è sotto tiro, accusato di non aver vigilato in maniera adeguata sullo sforamento delle quote di produzione di formaggio da parte degli industriali. Alle cooperative si rimprovera invece di giocare sistematicamente al ribasso del prezzo del pecorino puntando sulla quantità invece che sulla qualità. «La linea di produzione che predilige la filiera corta dai produttori primari al consumo – dice Petrini – non è un’idea nostalgica, è la modernità. Bisogna ricordare che i consorzi e le cooperative sono nati per difendere gli allevatori e non la grande industria».

Allarga ancora di più il campo Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia: «Le proteste dei pastori sardi sono il sintomo evidente del fatto che qualcosa non funziona nella gestione delle filiere e nel meccanismo dei fondi della Politica agricola comune (Pac) della Ue». «Troppo spesso – aggiunge Ferrario – assistiamo a filiere non eque, che non sono in grado di garantire ai produttori non solo una remunerazione adeguata, ma neppure di coprire i costi di produzione. La produzione zootecnica, inoltre, è sempre più concentrata in grandi aziende, mentre i piccoli produttori scompaiono. Solo in Italia, nell’ultimo decennio, hanno chiuso oltre 320 mila aziende, un calo del 38%. Mentre il numero delle aziende agricole grandi e molto grandi è aumentato complessivamente del 44%».