Non ricorderemo l’uomo, forse l’attore, senz’altro il personaggio. Non è stato detto eppure è tra le righe. Nei vari articoli in lingua italiana e inglese a proposito della recente scomparsa di James Gandolfini, si parla del carattere bonario, della carriera, ma il personaggio domina il tutto. Tony Soprano, personaggio della serie televisiva The Sopranos (in replica la sesta stagione la domenica su Rai4 alle 21.10) era anche James Gandolfini, l’attore. Era nel senso che Gandolfini ha dato corpo al personaggio, e questi ha assunto in sé la complessità, le stratificazioni di significati e messaggi del programma nell’arco di otto anni.

Tony Soprano è stato anche David Chase: la sua proiezione sul piccolo schermo, la sua visione ed elaborazione di una particolare critica dell’American Dream attraverso la maschera della Mafia. L’unica possibilità per Chase di fare un discorso politico senza subire censura, e che ha lasciato dietro di sé corpi di critici avvinghiati alle immagini, al discorso estetico senza coglierne l’aspetto etico. Il paradosso, nell’era dell’immagine-spettacolo dove ogni recesso, anche privato, esiste solo in funzione della sua mediazione tecnologica, è che Tony Soprano non muore. Ironicamente, Tony è vivo, e allucina assieme a noi.

Non peyote (episodio 83), ma l’ambiente di comunicazione tecnologica che ha sfasato il rapporto con la realtà.
Interessante trovare nell’opera di un italo-americano l’avvertimento per quello che è la manifestazione in Italia della politica-spettacolo. E si è accennato nei necrologi di come l’ultimo episodio della serie finisca brutalmente per lo spettatore preso dalla fabula. Quello schermo che media res diventa nero, interruzione, sconforto, rabbia. La serie non poteva finire così, come se Chase avesse abdicato all’entropia. Invece, sì. E lì sta non il genio, ma la pragmatica della comunicazione. La terapia, portata avanti da Chase, ha fallito. La televisione non può essere oscurata dall’anti-televisione. E, l’anti-televisione è una prassi socio-politica. Inizialmente, Chase aveva ideato il programma per una stagione televisiva, sicuro che il contratto non sarebbe stato rinnovato dalla Hbo. Ma, visto il successo ricevuto sia dalla critica sia dal pubblico, The Sopranos è stata una serie che, iniziando nel 1999, ha spento l’interruttore nel 2007.

Avendo avuto la libertà di non tener conto delle interruzioni pubblicitarie, e nel limite di un’ora di programmazione, Chase ha usato lo strumento TV contro se stesso dall’inizio. Un episodio in particolare può illustrate questo punto. Nella prima stagione, quinto episodio, College (dove viene illustrato il concetto di tradimento), il rapporto tra schermo, pubblico e narrazione affettiva è criticamente illustrato e decostruito, una Inception (C. Nolan, 2010), sui generis. Mentre Tony e la figlia Meadow sono in viaggio per trovare il college adatto, Carmela, la moglie è sola in casa.

Visitata dal prete amico di famiglia, Padre Phil Intintola, Carmela, infatuata, spende la serata con lui guardando un film, The remains of the day (Ivory, 1993), dopo aver abbondantemente mangiato e bevuto (il prete, cioè). Il telespettatore è messo a confronto con il proprio ruolo quando Carmela e Phil guardano il film. Sequenza di pochi secondi, ma illustrativa. Del film, basato sul romanzo di Kazuo Ishiguro, 1989, si vede solo questo passaggio: il maggiordomo Stevens (Anthony Hopkins) è assediato e costretto in un angolo dalla governante Kenton (Emma Thompson). Stretto sotto il braccio ha un libro, che Miss Kenton vorrebbe vedere.

La tensione sentimentale tra il compìto Mr. Stevens e Miss Kenton sfocia nel breve dialogo tra i due, dove si scopre che Mr. Stevens ha degli affetti per lei, ma non le mostrerà il libro poiché le farà male. In realtà, potenziale distruzione del mondo formale, servile del maggiordomo. L’aggancio è con il quinto canto dell’Inferno, se Dante metteva in guardia il lettore dal potere sovversivo della parola, Chase avverte lo spettatore del potere di seduzione dell’immagine.

[do action=”citazione”]La visione, per quanto breve, illustra un procedimento di mise en abyme, di distanziamento critico. Lo spettatore vede Carmela e Phil che guardano la scena del film. Ma, il processo si stratifica: lo spettatore può diventare consapevole che sta guardando due spettatori-attori che a loro volta guardano un film in televisione.[/do]

Tutto ciò è in realtà una narrazione, affettiva, che si svolge su di uno schermo, quello televisivo il cui contenuto illustra l’effetto emotivo che deriva dal guardare. Infatti, Carmela interromperà la visione, e catarticamente si aprirà emotivamente al prete con la sua confessione di moglie sposata, per motivi anche materiali, a un mafioso. Confessione sul divano, condotta dopo una breve messa impromptu. Platealmente, la scena termina non con una comunione erotica bensì con la fuga in bagno del prete, ironicamente per abbondante libagione. Se partiamo dal punto che effettivamente l’eccesso del prete debonair cancella la distinzione tra sacro e profano, tra uso del vino per motivi religiosi e motivi festivi, questa perdita di confini sociali si estende anche e specialmente a come lo spettatore si rapporta alla televisione. In un certo senso, dagli anni cinquanta del secolo scorso la televisione ha rimpiazzato lo spazio sociale e affettivo-narrativo all’interno della famiglia occidentale.

Ne è diventato fulcro senza responsabilità: se un programma non piace, si cambia canale cosa che di certo non si poteva fare con i nonni, ad esempio. Questa sua fluidità, aperta al mondo delle immagini come superfici, in piena corrispondenza alla teoria della comunicazione di Norbert Wiener, fa della televisione uno strumento tecnologico rivoluzionario. Non solo premessa di ubiquità a venire, oggi soddisfatta dall’accelerazione tecnologica degli ambienti di comunicazione ma flusso onirico che ha nel tempo preso il posto dell’inconscio. La televisione, specchio formante dei tempi in ogni possibile accezione.

E, in questo suo sviluppo capace di creare un Homo Videns (Sartori, 1997) sulla cui superficie si riflettono continuamente personaggi-spettacolo caratterizzabili come post-umani, il confine tra realtà e finzione diventa esso stesso oggetto di narrazione abolendone la dimensione percettiva e critica. In questo spazio, Chase-Tony agisce usando The Sopranos come terapia. Non a caso, l’antagonista principale di Tony Soprano è la sua terapeuta, dottoressa Melfi, la quale agisce a livello linguistico mentre Chase lo fa criticando il linguaggio delle immagini. Qui sfocia l’importanza della scena cui ci si è riferiti sopra: Carmela perde senso di sé, l’autocontrollo diventa confessione, negazione di responsabilità, intrisa a pseudo-erotismo. Perché Chase decide di focalizzare su quel preciso momento tra il maggiordomo e la governante se non per permettere allo spettatore di costatare il potere della televisione, di come lei tradisce intenzionalmente il nostro rapporto con la realtà? Arrivati al dunque, Chase abbandona il tentativo con l’unico escamotage possibile – se non avete ancora capito, la televisione ve la spengo io, altro che continuare a sognare… ma, Tony non potrà più morire.