La proposta, sotto forma di mozione da discutere in consiglio comunale, arrivava da tre consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle: istituire a Roma un «Museo del fascismo». È rimasta in piedi per una mezza giornata: il tempo di creare polemiche, generare reazioni indignate e l’imbarazzo della sindaca Virginia Raggi. La quale ha parlato chiaramente: «Roma è una città antifascista, nessun fraintendimento in merito». Insomma, ci sono pochi margini: il documento non arriverà mai al vaglio dell’Assemblea capitolina.

Le due pagine a firma Maria Gemma Guerrini, Andrea Coia e Massimo Simonelli sono stringate quanto contraddittorie. La prima si era distinta per la guerra alla Casa internazionale delle donne, che l’amministrazione grillina vorrebbe cancellare. Nello specifico, si direbbe che i tre grillini firmatari non si siano resi conto di maneggiare un tema incandescente, considerano che il fascismo possa essere «polo attrattore per scolaresche, curiosi, appassionati ma anche turisti da tutto il mondo». Da una parte dicono di voler «coltivare la memoria» in antitesi alle «sempre più frequenti manifestazioni promosse dalle organizzazioni neofasciste». Dall’altra, tra i musei da prendere a modello citano la Casa-museo del Terrore di Budapest, luogo noto per l’ispirazione revisionista e per proporre una narrazione storica che mette sullo stesso piano nazisti e comunisti.

Dall’Anpi si sono detti «allarmati» per la proposta: «Non si prevede esplicitamente un museo sui crimini del fascismo, sull’esempio di quanto realizzato in Germania, ma semplicemente sul fascismo – afferma l’Associazione dei partigiani -. Immaginiamo quanti non vedano l’ora di poter dimostrare che il fascismo ha fatto anche cose buone». Si tratta dunque di uno svarione politico, di una sgrammaticatura storico-culturale nelle fila del M5S romano. Forse non la prima. Ma la vicenda denota anche che la truppa in Campidoglio al seguito di Raggi marcia in maniera scomposta. Per la prima volta nella storia di Roma repubblicana, in aula Giulio Cesare esiste una maggioranza monocolore: 29 consiglieri su 48 del M5S (al momento, il gruppo dei 5 Stelle ne conta tre in meno e in bilico c’è Marcello De Vito, presidente del consiglio comunale rinviato a giudizio per corruzione).

Che in questo finale di consiliatura il clima non sia dei più sereni è testimoniato dal fatto che quando si pensava che De Vito, messo agli arresti, avrebbe fatto un passo indietro, si è scoperto che non sarebbe stato facile trovare un rimpiazzo: tra ripescati nelle giunte municipali, promossi in parlamento nel boom di due anni fa e semplici non eletti che non hanno intenzione di gettarsi nel calderone del Campidoglio, bisognava scorrere la lista non di poco prima di trovare qualcuno disponibile. Lo stesso Simonelli è subentrato a un consigliere dimissionario e non figurava in cima alla lista. Inoltre, da mesi si vocifera di un drappello di consiglieri pronto a uscire dal gruppo grillino per continuare ad appoggiare la sindaca da posizione autonoma, magari per contrattare meglio appoggi futuri e schieramenti prossimi.

Va anche detto che Raggi, a differenza di alcuni suoi illustri colleghi di partito, non considera l’antifascismo un armamentario ideologico del passato. Già ai tempi della vittoriosa campagna elettorale del 2016 lo ha definito «valore non negoziabile». Fino alla campagna per lo sgombero della sede nazionale di CasaPound e al cambio della toponomastica dedicata ai firmatari del Manifesto per la difesa della razza. Tanto più che adesso ha bisogno di coprirsi a sinistra, in vista delle elezioni del 2021.